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Quando il bullismo uccide

Il diario di Emilie - Capitolo secondo

Heyyyy hi! Alzai la testa, sorpresa di vedere qualcuno. Era un ragazzo che doveva essere in quarta. Non conoscevo né lui né i cinque tipi che stavano dietro di lui. Avevo un brutto presentimento. 

- Sai che questo è il nostro posto?

-Questo mi sorprenderebbe. Sono tre mesi che vengo qui ogni giorno e non ti ho mai visto .

- E’ lei a parlare, la senza-amici?Avete visto ragazzi? I suoi amici mi guardarono con un sorriso maligno. Avevo davvero un brutto presentimento. Si chinò verso di me e mi strappòil libro dalle mani. 

-Cosa legge una senza-amici? Conosci i ragazzi?-disse-  agitandolo in aria. Mi alzaidi scatto. In quel momento, decisi di non farmi sottomettere. Aveva il mio libro. Il mio caro libro. La mia unica compagnia. 

-Uh la la, ho preso il suo piccolo libro, se l’è presa. Lo vuoi? Lo vuoi? Guardate! 

Lo brandiva davanti a me, troppo in alto. Non gli avrei dato la soddisfazione di saltare per cercare di prenderlo.

-Me lo rendi, per favore ? 

-Se lo vuoi, vattelo a prendere! 

Salì le scale e lo lasciò andare. Nel momento in cui mi precipitai per  prenderlo, lui mi si mise di fronte. Lo spinsi e mi feci strada a fatica tra i suoi amici che provavano un crudele piacere nell’impedirmi di passare. Corsi giù per le scale tanto in fretta quanto mi permettevano le mie gambe, e mi buttai sul mio tesoro. Sapevo dalle loro risate che facevano eco nella tromba delle scale quanto ero ridicola, ma non potevo fare altro. Mi rifugiai al piano inferiore, e lo strinsi tra le mie braccia. Non si era fatto niente. Avevo così tanta paura che quel ragazzo avrebbe strappato o calpestato il mio cuore che ancora batteva. Quando ero sola, non avevo paura di queste persone. Sapevo benissimo difendermi, avevo già capito ciò che era necessario. Rispondergli, da pari a pari. Poiché questo tipo di codardi osano raramente combattere. E non me ne fregava talmente niente di farmi colpire, che non avevo più paura.Ma non potevo permettere che ferisseroi miei bambini. Inoltre, mi avevano talmente distrutto la vita che non capivo perché continuavano. Forse volevano portarmi via ogni gioia, ogni più piccola gioia. Pregai che questi ragazzi non tornassero domani, fino a quando non avrei trovato  un nuovo nascondiglio. Speravo di non dover trascorrere un'ora in più ogni giorno nella toilette. Speravo che non mi togliessero il mio rifugio. La campana suonò. "Solo due ore di corsi, un quarto d'ora di ricreazionee un’ora di lezione".Quandoarrivai in fila, un ragazzo della mia classe mi guardò ed esclamò con un grande sorriso: - Beh, allora Emilie, hai l’aria strana, vuoi andare in bagno? Un altro che si trovava dietro di me mi spinse fuori dalla fila, inciampai e caddi davanti a tutti.

Fu guardandoli ridere che non riuscii a trattenere le lacrime.. "Solo due ore di corsi, un quarto d'ora di ricreazione e un’ora di lezione. Solo due ore di corsi, un quarto d'ora di ricreazione e un’ora di lezione . Solo due ore di corsi, un quarto d'ora di ricreazione e un’ora di lezione.Solo due ore di corsi, un quarto d'ora di ricreazione e un’ora di lezione. Solo due ore di corsi, un quarto d'ora di ricreazione e un’ora di lezione.Solo due ore di corsi, un quarto d'ora di ricreazione e un’ora di lezione".

Mi alzai dolorosamente e sentii qualcuno gridare: -Vuoi un fazzoletto? -Vidi attraverso le lacrime che gettavano su di me dei fazzoletti usati. Ne presi in faccia, sui capelli, sui vestiti. Abbassando la testa per proteggermividi il sangue sulle mie ginocchia. Fu allora che arrivò la prof.Tornammo in classe , e poco dopo l'inizio del corso, sentii: - Hey Emily, hai un fazzoletto? Ho controllato e ho visto che non me ne resta nessuno.- Mi voltai e feci segno di no.- Eppure, con tutti quelli che ti hanno dato potresti almeno condividere!

Tornai al mio notebook. Un secondo dopo sentii qualcosaatterrare tra i miei capelli. Toccando alla ricerca di una pallina o una penna, sentii una gomma da masticare bene incollato a una ciocca. Ti ho chiesto un fazzoletto, dovresti passarmene uno. Solita risata.

Al wc, due ore più tardi, chiusa nella mia cabina, cercai di rimuoverlo, ma niente da fare. Fui costretta a tagliare la ciocca. Potevano ridere di  tutto quello che volevano, sarebbe stato meglio che andare in giro con la gomma da masticare nei capelli. Restava solo un’ora prima di tornare a casa. Era l'ora dei club, l'ultima ora del giorno, in cui si andava alle attività che si erano scelteall’inizio dell'anno. Oggi avevo scacchi. Un'attività che non avevo scelto solo per divertimento, ma anche perché le persone che si fossero iscritte, sarebbero state necessariamente meno stupide e superficiali rispetto a quelle che mi facevano la guerra. Ciò era vero, con una o due eccezioni. Il tempo passava senza intoppi, tranne quando andai a prendere la mia borsa. Avevano attaccato su di essa una gomma da masticare, qualcuno aveva scritto accanto all'etichetta "Questo non si può tagliare" e dietro la borsa c’era scritto "Io, invece,taglio quello che mi pare.Vidi che le cinghie erano state tagliate. Sulla strada per tornare a casa, lasciai che le lacrime mi scendessero sulle guance. Me lo concedevo tre volte al giorno: la mattina prima di andare a scuola, la sera tornando,  la notte, a letto. La mia borsa era pesante tra le mie braccia, ed era difficile nascondere la  gomma da masticare senza toccarla. Nella metropolitana, feci in modo che nessuno se ne accorgesse, sia dello stato in cui era la mia povera borsa, sia di quello in cui era la sua povera proprietaria. Le giornate erano così simili che non sapevo come avrei potuto tenere.

Traduzione a cura di Diana Marciano

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