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La Cina è dietro l'angolo

L'informazione come arma

Da un bel po’ di tempo si vocifera che la Cina abbia messo su un esercito, ma non ci si riferisce ad un potenziamento dell’apparato militare già esistente né ad una diversa valorizzazione di quello di terracotta. Pare sia un esercito virtuale, chiamato appunto “cyberesercito”. Che preoccupazioni può mai scatenare un esercito che non potrà invadere territori a passo di marcia, attaccare popolazioni, distruggere luoghi e vite?! Eppure questo cyberesercito cinese è molto più spaventoso di quanto sembra considerando che è formato da oltre 2 milioni di persone che operano dietro le quinte dei centri di aggregazione diffusi in rete e soprattutto dei social network. Gary King, direttore dell’istituto di scienze politiche e sociali presso l’Università di Harvard, ha condotto un’indagine dal titolo “China censorship” in cui descrive in cosa consiste il ruolo di questi soldati della rete. In particolare, nel saggio “How the Chinese Government fabricates social media posts for strategic distraction” King denuncia nel dettaglio le dinamiche di manipolazione del governo cinese: ogni soggetto assoldato riceve in anteprima informazioni su notizie destinate in breve tempo ad esplodere sul web ed inoltre, in allegato, vi trova le direttive su come gestire le reazioni degli utenti. Questa sorta di opinionisti corrotti possono, quindi, mettersi al lavoro per dirottare dibattiti, creare post ingannevoli, manipolare le opinioni altrui con il solo e unico obiettivo di spegnere gli entusiasmi sugli argomenti più scottanti e far confluire interesse su topic più leggeri e meno pericolosi. Il numero stimato di commenti fasulli prodotti da tale meccanismo è gigantesco: centinaia di milioni quotidianamente. Una vera e propria forma di censura, quindi, seppur serpentesca e subdola. D’altronde la Cina non ha mai brillato per la tutela della libertà di opinione qualificandosi agli ultimi posti nella classifiche stilate ogni anno da Reporters sans frontières: attualmente neppure si smentisce posizionandosi al 173esimo posto su 179 paesi considerati. Agli occhi di noi occidentali tutto questo può apparire inconcepibile, a tratti incomprensibile poichè distante lunghezze siderali dalle dinamiche politiche che viviamo. Ne siamo sicuri? Scorrendo con occhio speranzoso la classifica dei dati di Rsf, si potrebbe restare parecchio delusi nello scoprire che l'Italia è fanalino di coda in Europa in tema di libertà di stampa e di opinione: 77esima dopo Benin e Burkina Faso, registra un consistente numero di reporter di inchiesta sotto protezione o accompagnati da scorta nonché una quantità imbarazzante di procedimenti giudiziari a carico di chi scrive e racconta fatti ritenuti scomodi. È probabile che nel mentre si stia leggendo, una notizia del genere provochi a qualcuno un sussulto di meraviglia, ma domani senza alcun dubbio sarà già dimenticata da persone che, non dimentichiamolo, sono cittadine di un paese che abitua alle nefandezze fin da che si è in fasce appestando ogni settore di una scarsa tutela istituzionale. Emblema dell’indifferenza dei più ad atti antidemocratici è stato senz’altro il periodo in cui politica e telecomunicazioni si confusero in modo pericoloso sotto il regime berlusconiano: come dimenticare quello che è passato alla storia come “Editto Bulgaro”, dichiarazione rilasciata nel 2002 dall'allora nostro Presidente del Consiglio con la quale Berlusconi si augurava che la Rai non avrebbe più permesso un “uso criminoso” della televisione da parte dei giornalisti Biagi e Santoro i quali, poi, furono casualmente allontanati dalm mondo della televisione pubblica.  L'Editto Bulgaro ebbe grande risonanza grazie al contesto in cui fu dichiarato, ovvero un incontro politico internazionale, ma anche per il suo contenuto duro, crudo e diretto che costò la sospensione dei programmi televisivi condotti in quel periodo dai giornalisti. Eppure chi può assicurarci che anche nel nostro territorio i social network che tanto devotamente seguiamo non siano strumento per una censura meno sfacciata? Quante centinaia di account fake possono esistere ed operare sottobanco al solo scopo di “moderare” gli umori? Memori dei trascorsi storici sarebbe opportuno considerare la trave che affligge il proprio occhio prima di giudicare la pagliuzza in quello altrui: a pensarci, infatti, la Cina potrebbe non essere così lontana.

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