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Lettera d'intento per esportatori abituali

Verificare gli importi per l'emissione di fattura senza IVA

La soppressione della possibilità di riferire la dichiarazione d’intento degli esportatori abituali agli acquisti da eseguire entro un determinato periodo di tempo, opzione non più ammessa per le operazioni dal 1° marzo 2017, ha raggiunto un primo obiettivo: quello di lasciare, almeno in parte, il peso dei controlli in capo ai fornitori. Con le vecchie dichiarazioni a tempo, infatti, il cedente o prestatore doveva preoccuparsi solamente di effettuare l’operazione nel periodo segnalato dal cliente, restando esclusa ogni valutazione in merito all’entità degli acquisti posti in essere, fatto salvo, il rispetto dei requisiti di legge per l’applicazione del regime di non imponibilità e l’adozione di misure idonee a evitare il coinvolgimento in fenomeni di frode.

Con le nuove regole, che limitano l’utilizzo delle lettere d’intento solo per operazioni singole o per acquisiti fino a un certo ammontare, il fornitore è invece tenuto a prestare la massima attenzione per evitare di emettere fattura senza IVA per importi eccedenti quelli indicati. Le conseguenze possono essere gravose, considerandosi la fattispecie assimilata a quella di chi emette fattura non imponibile in mancanza di dichiarazione d’intento. Resta da vedere l’utilità della nuova misura antievasione, soprattutto in considerazione del fatto che all’esportatore abituale che, per esempio, gode di un plafond di un milione di euro, non è certamente vietato rilasciare dieci lettere d’intento di pari importo ad altrettanti potenziali fornitori. Se ognuno di essi esegue forniture di beni/servizi nel rispetto della soglia massima indicata dal cliente/esportatore, infatti, si ha comunque uno splafonamento di 9 milioni di euro. Per intercettare simili fenomeni potrebbe servire la nuova trasmissione trimestrale dei dati delle fatture, ma, in quest’ottica, non c’era probabilmente bisogno di modificare le lettere d’intento. In ogni caso, è bene ricordare che la nuova dichiarazione d’intento deve essere utilizzata per gli acquisti effettuati dopo il 28 febbraio. I vecchi modelli, quale che sia la modalità di utilizzo del plafond, vanno impiegati per le operazioni fino a tale data. Se prima del 28 febbraio ci si è avvalsi della versione precedente del modello con indicazione di un periodo che va oltre detto termine, la dichiarazione cessa di avere effetto alla fine di tale mese. Pertanto, se l’esportatore vuole ancora acquistare senza pagamento dell’imposta dal 1° marzo, deve presentare il nuovo modello, munito di ricevuta. La risoluzione 120/E/2016, al contrario, ha confermato che restano valide le vecchie lettere d’intento emesse per singola operazione o a importo fisso che non siano esaurite alla suddetta data. Confermata anche la necessità di una nuova lettera d’intento e di una nuova ricevuta delle Entrate, se si vuole incrementare l’importo degli acquisti senz’IVA. Il nuovo modello non ha conseguenze per l’utilizzo del plafond in dogana al fine di eseguire importazioni senza applicazione dell’imposta. Come chiarito dalla risoluzione 38/E/2015 e meglio precisato dalla nota delle dogane 58510/2015, in effetti, la dichiarazione, da presentare telematicamente alle Entrate, poteva e può riguardare solo importazioni singole o una pluralità di operazioni doganali fino a un certo importo. Da vedere, infine, se il modello subirà ulteriori modifiche in vista della possibilità di utilizzare il plafond per evitare il pagamento del tributo in caso di estrazione di beni dai depositi IVA che comporti il versamento dell’imposta, in base alle nuove regole applicabili dal 1° aprile 2017.

Sanzioni fino al 200% dell’imposta

I fornitori degli esportatori abituali dovranno monitorare con attenzione il fatturato in regime di non imponibilità. Il superamento degli importi indicati nelle dichiarazioni d’intento fa infatti scattare la sanzione amministrativa dal 100 al 200% dell’imposta. Non si deve poi scordare di porre in essere tutti gli adempimenti collegati alla ricezione del documento, non venuti meno anche dopo la rivoluzione portata dal decreto semplificazioni. Con la soppressione dei campi attraverso i quali è possibile richiedere la detassazione degli acquisti a tempo, i fornitori si troveranno sempre a dover gestire in modo oculato gli importi fatturati. Infatti, sarà a loro carico verificare di non “eccedere” rispetto agli importi indicati nella lettera d’intento, con l’emissione di fatture in regime di non imponibilità.

Eventuali errori saranno sanzionati pesantemente, in quanto trova applicazione la misura prevista dall’articolo 7, comma 3, del Dlgs 471/1997, ossia dal 100 al 200% dell’imposta. Infatti, chi fattura senza applicare l’IVA superando l’importo riportato nella lettera d’intento, si troverebbe, nella sostanza, ad aver effettuato operazioni senza addebito d’imposta in mancanza della dichiarazione d’intento. Inoltre, si ricorda che il Dlgs 158/2015 ha modificato la sanzione prevista dall’articolo 7, comma 4-bis, Dlgs n. 471/1997, che va da 250 a 2.000 euro, comminabile ora nel caso in cui il fornitore effettui operazioni in regime di non imponibilità prima di aver ricevuto la dichiarazione d’intento e riscontrato telematicamente l’avvenuta presentazione all’Agenzia delle Entrate. La situazione può complicarsi ulteriormente se consideriamo che ciascun fornitore potrebbe trovarsi ad aver ricevuto più dichiarazioni d’intento da parte dello stesso esportatore abituale. Infatti, oltre a dover gestire gli importi fatturati in “esenzione”, nel rispetto delle richieste di cui alle singole dichiarazioni ricevute, dovranno essere posti in essere tutti gli altri obblighi richiesti dalla normativa, sopravvissuti anche dopo l’entrata in vigore del decreto semplificazioni, col quale è stato trasferito in capo all’esportatore abituale l’onere di effettuare la comunicazione telematica alle Entrate. Infatti, il fornitore deve continuare a numerare progressivamente i documenti ricevuti e annotarli in apposito registro entro quindici giorni dal ricevimento, oltre a conservarli. In alternativa è possibile effettuare l’annotazione in apposita sezione dei registri di cui agli articoli 23 (registro delle fatture emesse) e 24 (registro dei corrispettivi) del Dpr n. 633/1972. L’omessa numerazione, annotazione o conservazione costa da 516,00 a 2.582,00 euro. Il fornitore deve indicare nelle fatture emesse, oltre al regime di non imponibilità IVA, gli estremi della relativa dichiarazione d’intento. In caso di più dichiarazioni ricevute dal medesimo soggetto si dovrà quindi fare attenzione a richiamare quella corretta. Infine, i documenti ricevuti devono essere indicati nel quadro VI della dichiarazione annuale. Anche in questo caso il possibile proliferare delle lettere d’intento non pare andare nel senso della semplificazione, ben potendo, al contrario, offrire più possibilità di errore agli operatori.

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