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Discorsi letterecci n° 9

Rubrica letteraria a cura di Cristian Carosella. "Uomini e no" di Elio Vittorini.

Abbiamo goduto finalmente di un altro entusiasmante 25 Aprile, giorno di festa per l'Italia tutta. Il paese celebra la liberazione dal nazi-fascismo e noi ancora godiamo dell'aggiunta di un nuovo giorno di festa sul nostro calendario.

E cosa importa se questo giorno, tinto di rosso, a guardarlo bene ancora sembra sporco del sangue degli italiani che furono, e di comprendere la complessità di quella che è stata una delle pagine più tristi e macabre della storia d'Italia. Ciò che conta è intonare "Bella ciao", scaldare la gola in vista del primo Maggio, ricco di concerti e concertoni, approfittare della festa per idolatratrare il comunismo assieme ai suoi più sani portatori e, perché no, cogliere l'occasione per rimembrare ai neo fascisti la sorte del loro amato Duce, tanto per andare ad alimentare ancora un po' il loro odio nei confronti di tutto ciò che si avvicina al rosso, nelle sue più svariate tonalità, compresa quella che veste questa data su tutti i calendari d'Italia.

Ma io, in questa mezza pagina che mi è assegnata parlo di libri e questo mi porta, nonostante tenti in ogni modo di divincolarmi, a restare talvolta incastrato tra pagine strane, che mi mettono in testa idee bizarre, come ad esempio che forse in quella che fu una guerra civile, in cui si versò sangue su sangue, che una volta venuto fuori dalle divise più o meno convenzionali si mostrava identico per gli appartenenti ad entrambe le fazioni, forse non è opportuno e nemmeno troppo bello trovare un vincitore.

Questa mezza idiozia me l'hanno suggerita le pagine di "Uomini e no" di Elio Vittorini, un comunista certo, che in quella guerra, in quella lotta, prese una posizione netta, precisa, assumendo anche un ruolo attivo all'interno della resistenza. Tuttavia molto più ferma e netta agli occhi degli spettatori che non a quelli dell'autore stesso. Il quale in questo suo romanzo, scritto a guerra ancora in corso, rivela senza nascondersi troppo, senza paura e con l'onestà intellettuale che solo i grandi pensatori possono avere, le contraddizioni, le ambiguità e le difficoltà che quei giorni e quelle azioni si portarono dietro.

Perché la guerra è guerra e uccidere, per quanto in nome di una causa che si ritiene giusta, è azione violenta, che non può far a meno di infliggere ferite anche in chi la compie, in ogni uomo che la compie. Ed ecco che allora il significato di resistenza, assume un valore ulteriore, tutto nuovo, individuale e umano nelle pagine di Vittorini, divendendo volontà di resistere alla brutalità, di non cedere alla tentazione dell'odio che conduce e che condusse tanti, da una parte e dall'altra, alla bestialità, quella più bassa macabra e orripilante, eppure umana perché nascosta, celata, ma pur sempre capace di emergere dal nostro stesso animo.

Le pagine di questo romanzo, in cui l'autore rivive e narra le azioni, che non diventano mai gesta, del protagonista Enne2, ci permettono di vedere l'uomo, la suo quotidinità, la sua volontà di distinguersi dall'orrore che lo circonda. Ma soprattutto di comprendere che in condizioni di guerra, in cui si è pronti a far scorrere sangue di innocenti, a sospendere ogni forma di rispetto verso altri esseri umani, non arrestando la rabbia, l'odio e la violenza neppure di fronte alla morte, non è possibile inidividuare e distinguere, con banale semplificazione, i vincitori dai vinti. Piuttosto sarebbe opportuno riscontrare ed osservare quello che fu un unico, totale e gigantesco fallimento, quello dell'essere umano e della civiltà.

Io il prossimo 25 Aprile rileggerò Uomini e no, voi sentitevi liberi di festeggiare e gridare ancora una volta a squarciagola i vostri canti e cori di vittoria.

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