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Referendum Costituzionale - Il parere di Tino Iannuzzi

Opinioni a confronto

Il Referendum sulla Riforma costituzionale chiama tutti noi ad una valutazione di estrema delicatezza ed importanza: innovare finalmente le nostre Istituzioni o rinviare ancora una volta  -ed a chissà quando !- il mutamento del sistema attuale, pur ritenuto praticamente da tutti obsoleto, inadeguato e comunque da superare. In questa prospettiva il pronunciamento degli elettori, proprio perché l’istituto referendario per sua natura impone un giudizio secco e perentorio di segno affermativo o negativo, dovrebbe concentrarsi sulle grandi scelte di fondo nel disegno riformatore, che pure investe una notevole molteplicità e diversità di norme costituzionali, 47 includendo anche quelle meramente conseguenziali. È bene rimarcare che le modifiche non riguardano i primi 54 articoli, tranne una di mero coordinamento all’articolo 48. Rimangono immutati i “Principi Fondamentali” della Costituzione, che esprimono mirabilmente i Valori fondativi della Repubblica di perdurante e sicura valenza e attualità; rimane inalterata anche la Parte prima relativa ai “Diritti e doveri dei cittadini”. Si interviene, invece, unicamente sulla Parte seconda concernente “l’Ordinamento della Repubblica”, il funzionamento del nostro sistema istituzionale. L’innovazione strategica e più importante si sostanzia nel superamento di quel modello di bicameralismo perfetto o paritario, fondato sul riconoscimento di identiche competenze alla Camera dei Deputati ed al Senato  della Repubblica, che è vigente in Italia dal 1948. L’Assemblea Costituente decise giustamente di assumere quel modello per assicurare, dopo la terribile stagione del totalitarismo nazi-fascista, la massima ponderazione ed ogni spazio di approfondimento e confronto in entrambi i Rami del Parlamento. Oggi quelle ragioni possono ritenersi superate, di fronte al divenire vorticoso ed  incessante della vita economica, sociale e civile nell’ambito del “villaggio globale”, che pone al Paese e già da tempo sfide inedite ma pressanti, urgenti e decisive. Del resto il meccanismo della continua “navette” fra Camera e Senato per l’esame dei provvedimenti legislativi con passaggi reiterati fra le due Assemblee, sempre più ha prodotto nei fatti ritardi e dispersione di tempi ed energie, dimostrandosi non più in grado di cogliere ed interpretare i mutamenti profondi e continui della società.  In tale ottica la riforma, con una scelta significativa e non più procrastinabile, introduce un nuovo modello di bicameralismo differenziato. La Camera ha la titolarità del rapporto di fiducia con il Governo e della funzione di indirizzo politico ed esercita in prevalenza l’attivita’ legislativa. Infatti le leggi, in generale, sono destinate ad essere approvate dalla sola Camera, ad esclusione delle leggi riservate alla competenza anche del Senato, espressamente indicate nell’articolo 70. Al Senato, per le altre leggi, rimane poi il meccanismo dell’eventuale richiesta di esame e modifiche in tempi certi e celeri. Il Senato diviene così la sede di rappresentanza delle Istituzioni Locali (Regioni e Comuni). Con questa riforma si migliora e velocizza l’attività legislativa, rendendola più efficace  e capace di rispondere in tempi celeri alle esigenze della comunità. Va chiarito che la Riforma non introduce alcuna modifica per quanto attiene al ruolo ed ai poteri del Governo e, segnatamente, del Presidente del Consiglio dei Ministri, che non sono modificati ne’ tantomeno accresciuti.  Anzi la novella costituzionale  va nella direzione di rendere il rapporto fra Governo e Parlamento più fluido e funzionale, sia con la fissazione di limiti vincolanti e stringenti alla decretazione d’urgenza, della quali tutti gli Esecutivi da anni hanno abusato, a scapito della azione delle Camere; sia con la possibilità per il Governo di chiedere ed attivare il procedimento a conclusione in data certa per le iniziative legislative ritenute essenziali per  il suo programma. Inoltre, con un’altra scelta di sistema particolarmente significativa, viene riscritto l’articolo 117 della Costituzione in ordine al riparto della competenza legislativa fra Stato e Regioni. Opportunamente si elimina quella competenza concorrente o ripartita, nella quale in una stessa materia attualmente lo Stato detta i principi generali e la Regione la disciplina di dettaglio ed attuativa. Ne è derivata in questi anni una rovinosa ed abbondante conflittualità innanzi alla Corte Costituzionale, con la conseguente e disastrosa paralisi di investimenti, cantieri, infrastrutture, insediamenti produttivi e reti energetiche nazionali, con tanti riflessi negativi sulle attività economiche e sulle opportunità occupazionali. Sono, invece, definiti gli ambiti di competenza legislativa esclusiva dello Stato e delle Regioni, con la giusta introduzione della “clausola di supremazia”, che permette allo Stato, su richiesta del Governo, di legiferare anche in materie rientranti nella sfera di competenza regionale, al fine di salvaguardare l’unità giuridica ed economica della Repubblica o l’interesse nazionale. Nel nuovo orizzonte costituzionale le Regioni sono poste in grado di esercitare più efficacemente il loro fondamentale ruolo legislativo, oggi troppo spesso indebolito e “soffocato” da compiti di diretta gestione ed immediata amministrazione.  Infinite discussioni in almeno più di trenta anni - visto che risale al 1973 la prima Commissione bicamerale per le riforme presieduta dal liberale Aldo Bozzi ! - non sono mai riuscite ad innovare e adeguare le Istituzioni repubblicane. 
Il Sì al Referendum è un Sì per Istituzioni più efficienti e moderne,  è un Sì per ridare slancio e credibilità al Paese, è un Sì per innovare e migliorare l’Italia, è un Sì per guardare con fiducia e speranza al futuro.

Tino Iannuzzi Deputato PD

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