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Discorsi letterecci

L'addio di Cristian

“C’era una volta…
- Un re – diranno i mie piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno”
Questo è il geniale incipit con cui si apre “Le avventure di Pinocchio” la favola di Carlo Collodi che tutti conosciamo, un classico estremamente popolare e radicato a tal punto nella nostra cultura, da non poterci sorprendere quasi più. “Quasi” appunto, perché la lettura di un classico ha sempre la capacità in qualche modo di sorprenderci, di rivelarci un nuovo aspetto di sé e di noi, della storia che racchiude e della società che l’ha creata. Leggere o rileggere, la storia del burattino più famoso d’Italia, e forse del mondo, in età adulta, non è solo esperienza nostalgica utile a rievocare ricordi d’infanzia, ma un modo per guardarsi dentro, per capire meglio ciò che siamo e quanto i libri siano in grado di rappresentare ed influenzare la realtà in cui viviamo.
Pinocchio è un personaggio simpatico e familiare, ma è anche un ribelle, oserei dire un anarchico. Per buona parte del libro rifiuta di riconoscerequalsiasi forma di autorità, non accetta di sottostare neppure al potere del suo creatore, non si lascia abbindolare dalla morale comune, dalle continue regole che i vari personaggi cercano di inculcargli. Pinocchio vuole soltanto essere libero e felice.
Eppure presto questo suo desiderio di libertà lo condurrà ad uno scontro con i mondo in cui vive. Nel tentativo di seguire la sua strada finirà col provocare danno e dolore alle persone che sono lui vicine, a Geppetto prima e alla Fata dai capelli turchini poi. Pinocchio, pur nella sua ingenuità di bambino, si troverà quindi ad affrontare un gigantesco dissidio, sarà chiamato a scegliere tra la morale comune che lo vuole buono, tranquillo ed ordinato, e la propria esuberante, ribelle vitalità, inconciliabile con il mondo esterno,con il benessere delle persone a lui care, con la serena immobilità di una società che si è scelta delle regole cui non ammette trasgressione alcuna.
Così, il nostro Pinocchio dopo essersi ridotto ad una bestia, aver quasi causato la morte del padre e dell’amata fata Turchina, accetta di rientrare nei ranghi, diventa un bravo burattino. Dinanzi allo sguardo compiaciuto, eppur inevitabilmente velato di tristezza, di ciascun lettore pone fine alle sue avventure e alla sua ribellione, argina la sua esplosiva vitalità e accetta la più sicura quiete. Ha appreso le regole del gioco, della vita, sa che non esiste altro modo per affermarsi se non andare a scuola, studiare, essere un bravo burattino.
Pinocchio ha imparato la lezione e l’ha trasmessa a tutti noi, di generazione in generazione, ci ha fatto capire, raccontandoci la sua esperienza, che non si può vincere quando si intraprende solitari una guerra contro la società costituita, che le regole ci sono e vanno rispettate anche se sono ingiuste, anche se non ci piacciono, anche se qualcun altro le ha create per noi, consegnandocele e imponendocele, anche se sono un limite alla nostra felicità e al nostro furibondo vivere.
Noi siamo stati fermi ad ascoltare genitori e nonni, abbiamo imparato a memoria la sua storia e colto il suo insegnamento;ora è il momento di dimenticarlo. È tempo di tornare a far esplodere quella vitalità cui Pinocchio ci ha insegnato a rinunciare, è tempo di capire che quelle regole che ci siamo dati, che ci hanno dato, sono diventate argini così grossi da impedire il naturale corso del fiume. È ora di rinnegare la favola di Pinocchio,il suo falso lieto fine, per riabilitare il burattino ribelle che ha nella scoperta e nel desiderio di felicità il suo primo bisogno, il suo unico reale obbiettivo; il burattino che non accetta autorità, né limiti alla sua libertà di azione, che ha fame di vivere, di crescere e formarsi facendo a botte con la vita e con il mondo, mettendo in discussione ogni cosa, ogni autorità, ogni insegnamento.
Il Pinocchio ribelle dei primi capitoli ci insegna, irrequietezza e dinamismo, qualità essenziali e necessarie per continuare a battere la strada tutta in salita in direzione della felicità ed è in virtù di questo continuo indispensabile errare che dopo 12 numeri questa rubrica cessa per lasciare spazio a nuove ricerche e avventure. Con la speranza di aver fatto conoscere e apprezzare qualcuno dei miei libri preferiti e di aver minimamente rinsaldato il legame invisibile che lega queste macchie d’inchiostro adagiate su carta, al mondo in cui ci troviamo a vivere, saluto e ringrazio infinitamente chi da queste pagine mi ha dato la possibilità di esprimermi e di far sentire la mia voce, e ancor di più ringrazio tutti voi, conosciuti e sconosciuti, che avete dedicato qualche minuto del vostro tempo alla lettura di questa stramba rubrica.

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