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Capitale contro esseri umani

L’esodo biblico dei migranti come effetto collaterale del business

La realtà che stiamo vivendo in questo periodo storico è scandita da un tragico scenario mediatico-bellico cui quasi passivamente  ci si è abituati: le immagini dei barconi colmi all’inverosimile di rifugiati in cerca di salvezza verso le coste d’Europa sono diventate un’amara costante dei notiziari nazionali, fagocitati dalla miriade di altre notizie cui quotidianamente siamo rimpinzati. Una tragedia che si aggrava tanto più quanto è resa strutturale e permanente al nostro tempo. 

Si è sentito molto parlare, da parte di tutte le Destre europee e tutti i movimenti populisti, di proclami che ricalcavano la retorica dell’ invasione, della demonizzazione, soffiando orgogliosamente sui venti della crescente più o meno mal celata xenofobia, inscenando discorsi che sono la parodia di soluzioni serie, inconsapevoli della natura sistemica del problema e non all’altezza della sua complessità. L’unica cosa rinvenuta sono slogan di presa immediata e sicura che catturano l’istintiva saturazione di un cittadino già alle prese con una situazione economica e “non- lavorativa” logorante.

Il presente articolo vuole soffermarsi su una delle principali cause del fenomeno dell’immigrazione di massa che stiamo vivendo. 

La sostanza che anima economie di mercato in regime di libero scambio durante un periodo bellico è contraddistinta dal commercio di armamenti come primario strumento per l’attuazione e prosecuzione dei conflitti. A costo di cadere nell’ovvietà non si deve mai rinunciare dall’associare il fenomeno dell’ immigrazione che stiamo vivendo oggi, fenomeno non più “incidentale” o episodico ma costituzionale e sistemico, con l’altrettanto strutturale scenario bellico dell’area Medio- Orientale. 

Si prende qui in esame un primo caso paradigmatico del nostro discorso: l’Italia e la vendita di armamenti ai regimi politici quali Arabia Saudita ed Egitto. Per quanto riguarda il primo caso centinaia di ordigni sono stati venduti e spediti a partire dal 2013 con una commessa  da 62,3 milioni di euro per 3.950 bombe Mk83 della Rwm Italia, presente nell’isola più militarizzata d’Europa, la  Sardegna, insieme  alla vendita di 985 bombe Paveway IV (ordigni a guida laser) sempre della Rwm Italia per 5,9 milioni (1) di euro. Nel 2014 la stessa ditta è stata autorizzata a vendere altre 1.260 Paveway per 15,2 milioni e 209 bombe Blu109 per 3 milioni, quasi tutte da consegnare, con tutta probabilità sempre all’Arabia Saudita (2). 

Tutto ciò a sfregio della legge 185 del 1990 che vieta espressamente non solo le esportazioni, ma anche il transito di tutti i materiali militari e loro componenti verso i Paesi in stato di conflitto armato e in contrasto con i princìpi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite ;  se è vero che le commesse milionarie di armi fanno riferimento ad un periodo precedente all’entrata in guerra dell’Arabia Saudita contro lo Yemen, è vero anche che l’Italia sarebbe stata tenuta a sospendere tale commercio come quando nel 2013   l’allora ministro degli Esteri Emma Bonino sospese temporaneamente le forniture di armi già autorizzate verso l’Egitto per il rischio che venissero usate nelle violenta repressione delle proteste. Risultato: a fine 2015, il conflitto ha provocato la morte di oltre 5.700 civili, compresi centinaia di bambini, 21 milioni di persone che necessitano di basilari aiuti umanitari e lo sfollamento forzato di oltre 2,4 milioni di persone, determinando un’immane catastrofe umanitaria (3). 

Chi resterebbe nel proprio Paese in questo scenario?

Un altro caso, formalmente distinto ma sostanzialmente affine al discorso, riguarda i rapporti con paesi “compromessi” come il sopra menzionato Egitto. Dopo la tragica vicenda di Giulio Regeni ci si sarebbe aspettati un segnale diplomaticamente forte dalle nostre istituzioni, un ritiro dei funzionari dall’ambasciata italiana al Cairo o una delegittimazione istituzionale del regime sempre più coinvolto nella vicenda. Nulla di tutto ciò, anzi. Un fitto rapporto economico lega i due paesi in scambi commerciali in due settori principali: quello energetico e quello degli armamenti. Uno scambio che pare tanto più discutibile se si tiene conto della implicita legittimazione politica di un paese guidato dal fautore di un colpo di stato e, come già menzionato, sempre più istituzionalmente coinvolto nella barbara uccisione dell’accademico italiano. Vicenda che di certo non merita secondo il nostro governo, la seria messa in discussione dei rapporti diplomatici. L’Italia è stata il primo paese europeo a ricevere il generale Al Sisi dopo la sua presa del potere nel luglio 2013, e Matteo Renzi due anni fa è stato il primo capo di governo europeo a visitare l’Egitto, e poi a tornarci. L’Eni, con circa 130 aziende italiane che operano in Egitto ha effettuato “la più grande scoperta di gas mai effettuata in Egitto e nel Mar Mediterraneo con il giacimento ‘super-giant’ da  850 miliardi di metri cubi di  gas (4)”. Nel 2015 l’attuale governo ha autorizzato la vendita di 1.266 fucili per un valore di  3.723.888 euro, in aggiunta alla vendita di oltre 30.000 pistole per un valore complessivo di circa 8.700.000 euro (5). Tutto ciò in controtendenza rispetto alla precedente decisione d’embargo presa dal Ministero degli Esteri del precedente governo, e di tutti gli altri Ministri degli Esteri europei. L’Italia con una mano fa affari milionari e con l’altra punta il dito contro la mancata chiarezza del regime per le indagini del caso Regeni (“non accetteremo verità di comodo” come riferito dal Min. Gentiloni), ma nessuno di questi proclami è da prendere seriamente.

In definitiva, l’industria militare non ha dilemmi etico -morali sugli effetti macro-politici del proprio Business. L’imperativo ultimo del profitto  genera conseguenze disastrose dall’altra parte dello scenario globale. Urge oggi una seria riflessione sui fattori che causano le tragedie umanitarie che stiamo vivendo: continuare a concentrarsi sugli effetti ingestibili e inevitabili, come il fenomeno dell’immigrazione di massa o  il dramma dei neo-campi di recinzione alle frontiere europee, non conduce a nessuna soluzione concreta.

Oggi sappiamo che i fenomeni migratori sono direttamente proporzionali alla sistematica violazione dei diritti umani nelle zone di origine: pensare di risolvere questo problema chiamando in causa gli scafisti dei barconi è semplicemente  un’offesa all’ umana intelligenza.

Lo scenario verso cui ci stiamo dirigendo, e verso cui il dibattito pubblico è teso, si profila verso un’operazione di graduale implicita colpevolizzazione delle vittime ed il totale  bypass dei responsabili, geo-politicamente parlando, ovvero la colpevolizzazione dei rifugiati politici e richiedenti asilo per il fatto di voler continuare a vivere, e la totale dimenticanza degli attori e finanziatori della guerra.

Chi è così arguto da lamentarsi sul dramma dell’invasione, come se ciò fosse fruttuoso,  dovrebbe avere la compiacenza di protestare prima e soprattutto contro il commercio delle armi che fungono da carburante per la macchina delle abominevoli guerre in atto. Ne va della nostra dignità.

1) Fonte : Rete Italiana per il Disarmo , Export  Militare Italiano

2) Ivi 

3) Fonte:UNHCR, Task Force On Population Movement  7° Report, Febbraio 2016 

4) Fonte: www.eni.com , comunicato stampa “Eni scopre nel Mediterraneo il più grande giacimento di gas mai rinvenuto nel Mar Mediterraneo” 

5) Fonte: Rete Italiana per il disarmo, “L’Egitto fa fuoco con Beretta”

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