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Favole per i Ragazzi del '68

Viva Zapata, Emilio Miguel Cosimo Faber!

A Pier Paolo, benvenuto fra noi

Emilio Miguel Cosimo Faber, per gli amici Mino, era un capo guerrigliero,  rivoluzionario, politico.  Per nascita sarebbe stato destinato a lavorare la terra di proprietà di altri.  Adolescente, durante le lunghe serate d’inverno, come antidoto alla noia e al freddo pungente, nella buia casa di abitazione, liberava la mente e cominciava a sognare. Immaginava una vita di riscatto sociale, si vedeva su un gigantesco cavallo bianco alla testa di una moltitudine di senza terra e senza lavoro porre l’assedio al mitico Castello e, dopo numerosi assalti,  godere la vittoriosa conquista e, finalmente, la possibilità di poter accedere alla stanza blindata e ammirare anche lui la sedia magica che concedeva il potere totale. In gran parte erano gli effetti nefasti della magra cena, ma non erano estranee le conseguenze della lettura di un giornale a fumetti che celebrava le gesta di Emiliano Zapata Salazar, popolare eroe messicano dei primi anni del 1900, indomito rivoluzionario e valoroso condottiero di masse contadine contro il dittatore Generale Porfirio Dìaz Zapata è rimasto famoso nella Storia, oltre che per la promulgazione di leggi con le quali venivano distribuite terre ai contadini e per i motti di battaglia Reforma, Libertad, Justicia y Ley e Preferisco morire in piedi piuttosto che vivere in ginocchio, soprattutto perché nel dicembre 1913, entrando trionfante a Città del Messico  unitamente alle truppe di Pancho Villa,  rifiutò di sedersi sulla poltrona Presidenziale affermando con convinzione: "Non combatto per questo. Combatto per le terre. Perché le restituiscano". Fulminato sulla Via di Pagani, in terra di Agro!

Più cresceva il nostro Mino, più si rafforzava in lui l’idea che il destino avesse voluto consacrare nella sua persona tutte le qualità e le virtù del defunto Zapata ed investirlo della divina missione di riportare al potere le idee di giustizia sociale e di rigorosa moralità nei costumi pubblici, di togliere ai ricchi per dare ai poveri, di bonificare le aree inquinate, di creare centri di aggregazione sociale per giovani e anziani e quant’altro previsto nel vademecum del perfetto rivoluzionario. Chissà che un giorno anche lui non sarebbe passato alla storia per qualche sfolgorante motto di battaglia e, soprattutto, per essersi rifiutato di sedere sull’ambita sedia magica così duramente conquistata!

Tenendo sempre d’occhio il Castello, lavorò per anni a interiorizzare tali concetti e ad affinare le tecniche di guerriglia della comunicazione, anche con l’aiuto dei massimi esperti a sua disposizione, fino a che i tempi furono maturi per il raccolto. Imperava all’epoca un feroce dittatore, discendente di un’antica barbara tribù dell’Est stabilitasi secoli addietro sul territorio, che rispondeva al nome  di Caudillo Don Pedro Mauro De Pasquale. Vi era già stato qualche anno prima uno scontro tra i due e il dittatore ne era uscito arrogantemente e protervamente vincitore. Una cosa intollerabile!Il Nostro provò allora scatenare tutta l’opposizione di cui era capace, con continui attentati diretti alla persona dell’odiato nemico e dei suoi familiari e dei prossimi collaboratori, con reiterata diffusione di maldicenze e false verità e muscolose prese di posizione da vero duro, ma la scarsa, seppur velenosa,  qualità degli argomenti utilizzati non consentì che il risultato fosse conforme alle aspettative;anzi, pur non intaccando minimamente la boria dittatoriale, il Nostro guerrigliero fu progressivamente misconosciuto, allontanato e infine cacciato dalla parte politicamente e intellettualmente più sana e più nobile che pur sino ad allora lo aveva sostenuto. Non domo, con una giravolta degna del miglior funambolo, da convinto tupamaros di sinistra si autoincoronò capo popolo di quella destra  retriva e conservatrice che sino ad allora aveva combattuto. Ma si rese conto che non bastava: il De Pasquale era ancora troppo forte e il suo governo cominciava anche a conquistarsi il consenso e il sostegno della parte più colta e produttiva del paese. E allora? Allora à la guerre comme à la guerre, bisognava  abbandonare ogni vincolo ideologico e di programma e far convergere sulla sua candidatura tutte le altre feroci tribù del territorio e anche pueblos senza patria e indigeni senza terra, giovani e pseudo intellettuali e balbettanti studenti, proprietari di haciende e nulla facenti senza arte e senza lavoro, parroci benedicenti e  personaggi in cerca d’autore e chiunque altro fosse disponibile, promettendo cariche e onori, e affari e soddisfazioni a ognuno a partire dall’emanazione di un rinnovato Statuto-Costituzione con la fissazione dei nuovi valori fondanti. Ma più di tutto potè, per la coesa unità di tale variegata accozzaglia, la condivisione del peana di battaglia: “A Morte il Dittatore . A Morte Pedro Mauro De Pasquale”. Non sarebbe passato alla storia, ma funzionò!  Il Dittatore fu cacciato e lui si trovò acclamato come suo sostituto. Il giorno che si trovò a varcare la soglia dell’ormai vuoto Castello come vincitore, rinunziando per la fretta anche al cavallo bianco, nessuno lo fermò; avanzò circospetto, dapprima con sana diffidenza contadina ma poi con sempre maggiore sicurezza, verso la stanza blindata... eccola... era aperta e non vi era nessuno  di guardia a custodirla. E lì, e proprio lì... di fronte a lui… la SEDIA MAGICA… 

Si guardò intorno… non c’era nessuno, a parte  il suo designato attendente. Il sogno di bambino era realtà. Finalmente! Sapeva di non potere, non ancora, ma non resistette, e prima timidamente in punta, poi con tutto il suo peso SI SEDETTE!  Eh sì! Queste sono le cose per cui vale la pena vivere! Al diavolo la coerenza. E poi di Zapata nessuno sapeva! E neppure dei sogni infantili. Mancava solo un pittore che rendesse immortale il momento! Ma in giro non se ne trovavano più: di sicuro colpa del dittatore che di certo li aveva sterminati tutti! Ci si poteva accontentare, però, di un’istantanea da diffondere minuziosamente. E da quel giorno cominciò il futuro che, poi, è storia di oggi. E sì... perché venne il tempo di Mino e Mimmo.

Ma questo è il prossimo racconto.

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