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Il territorio di Angri nell'antichità

Storia della cittadina dell'Agro - Parte seconda

In una località al centro della valle del Sarno e per di più su percorsi antichissimi e documentati di collegamento tra punti strategici del territorio, ove di fatto sorsero Stabia (a controllo della costa e della penisola sorrentina nel punto più riparato del golfo di Napoli), Pompei (a controllo del punto di approdo naturale della laguna esistente alle foci del Sarno) e Nocera (a controllo del punto di passaggio obbligato delle comunicazioni terrestri tra lava11e ed il sud), 1o stesso identico assetto sarebbe in ogni caso da prospettare quando pure non fossero stati effettuati i citati rinvenimenti, nel quadro di conoscenze più generali ormai abbastanza chiaramente delineato per l'intera regione sarnese.

Delle tombe rinvenute nel Cimitero diede notizia in un suo scritto del 1955 l'ingegnere Lezza, senza tuttavia né citare il numero delle sepolture, né elencare o quanto meno separare gli oggetti del corredo di ogni tomba. Essi mal si distinguono infatti, tutti riuniti insieme, come a un dipresso appaiono ancor oggi nella bacheca del Museo dell'Agro Nocerino che li ospita, in una foto a corredo del suo scritto. Risulta pertanto praticamente illusorio procedere ad un'analisi puntuale di tali corredi, dal momento che mancano notizie indispensabili quali il loro numero e l'associazione degli oggetti in ognuno di essi contenuti, che ne renderebbe meno approssimativa la datazione.

Tra essi si annoverano due grosse olle acrome e due unguentari piriformi, pertinenti, una ed uno, verosimilmente a due differenti corredi. L'olla, in genere posta ai piedi del defunto e probabilmente riempita di grano o farina, è una caratteristica costante dei corredi della valle del Sarno, dall'età preistorica, quando è fatta di impasto e non di argilla figulina ed ha dimensioni più imponenti, fino al periodo ellenistico. I balsamari servivano a contenere invece essenze profumate. Compaiono inoltre due olpette acrome e un’olpetta, ancora più piccola, con parte superiore dell’ansa, collo ed orlo a vernice nera; un guttus con coperchio con filetti concentrici che racchiudono una più larga banda centrale a vernice rossastra sul collo e sul coperchio e bande verniciate anche sulle anse e sul versatoio; una kylix a vernice nera;

un'oinochoe trilobata acroma; un anforisco acromo ed un'anforetta miniaturistica ugualmente acroma, oltre ad altra piccola anforetta stamnoide a vernice nera; una coppa-bicchiere a vernice brunastra molto diluita e tre ollette acrome.

Più interessanti appaiono poi alcuni pezzi decorati, quali una bottiglia a figure rosse di fabbricazione campana con testa di donna rivolta a sinistra e palmetta sul lato opposto con rosetta ed ara sul fianco, e un  frammento di altro vaso campano di forma chiusa con analoga decorazione. Uno skyphos a vernice nera, infine, del tipo a testa di toro, è decorato con sovradipinture in bianco, giallo e rosso, nel tipico stile di Gnathia. Si tratta di corredi poveri in cui anche i pochissimi pezzi di pregio denotano una qualità assai modesta. Essi sono ascrivibili ad un orizzonte temporale spaziante tra la fine del quarto secolo a. C. e gli inizi di quello successivo, ossia alla fase della prima età ellenistica.

Va notato, inoltre che ancora nel Cimitero nel febbraio del 1989 si è potuto mettere a vista per la lunghezza di m. 18 in direzione Nord Sud un muro in opera incerta che fungeva verosimilmente da confine proprietario e forse anche da argine per un torrente che discendeva dai monti Lattari.

Di altri reperti non sono invece note le circostanze del rinvenimento. Di un’olletta monoansata acroma si conosce la data del recupero, il 22-7-1963, e la generica indicazione di provenienza da Angri. Altri pezzi, invece, sono assegnati ad Angri solo sulla base del ricordo di un custode del Museo, senza che peraltro si abbiano ulteriori dati circa il loro ritrovamento. Questo dovrebbe essere comunque posteriore a1 1965, dal momento che essi non compaiono tra i materiali prima presenti nel Castello Doria. Si tratta di due frammenti di pavimenti in cocciopesto d'età romana repubblicana, uno con inserti a scaglie bianche e nere, l'altro con grosse tessere rettangolari nere formanti un elegante motivo “a canestro”, ai quali si accompagnano elementi di decorazioni architettoniche, ossia un frammento di lastra fittile di rivestimento con motivo a palmette stilizzate e due frammenti anatomici in stucco policromo, forse pertinenti ad un'unica fìgura, di cui rimarrebbero il lato posteriore della testa con solchi dei capelli incisi e una mano impugnante, sembrerebbe, un codex. Non è certo che tutti questi elementi debbano riferirsi ad uno stesso edificio, mentre certamente frutto di un rinvenimento precedente è uno dei pezzi più interessanti dell'intera raccolta, ossia la maschera frammentaria di un uomo con corna all'attaccatura dei capelli, in terracotta lavorata a stecca. Essa, già presente nella raccolta comunale nel 1965, mostra caratteri artistici tipici del realismo di tradizione italica che le conferiscono una propria dignità espressiva. Potrebbe forse rappresentare quell’Epidius Nuncionius o Nucerinus che, secondo quanto racconta Svetonio, caduto nel Sarno, ne riuscì ornato di corna, sì da esser ritenuto la divinità stessa del fiume.

Tutti questi reperti vengono messi in connessione con i rinvenimenti comparsi durante la costruzione del palazzo Vaccaro e con altri precedenti effettuati nella stessa area compresa tra la chiesa di Costantinopoli e l’incrocio con via Murelle, sul versante meridionale della via Adriana, dove vennero segnalati anche imponenti ruderi, una statua marmorea e colonne e capitelli in tufo grigio, sì che non è da escludere che in tal sito vi possa essere stato anche un edificio religioso.

In prossimità della chiesa di Costantinopoli, all’incrocio tra via Concili e la provinciale Nocera-Castellammare, il Lezza segnala ancora il rinvenimento avvenuto nell’agosto del 1936 della stele funeraria, in tufo grigio di Nocera, di Gemelus, il cui nome è iscritto a caratteri incerti nella parte superiore della cornice, al di sotto del timpano, con rappresentazione ad altorilievo di un togato a mezza fìgura di età ormai matura posto in una nicchia incassata, realizzata ancora nel solco del naturalismo di tradizione italica e databile sul finire dell'età repubblicana. Alla base del monumentino, che misura cm 112 in altezza, cm. 47,5 in larghezza e cm. 23 in spessore vennero rinvenuti l'olla cineraria completa di coperchio, un unguentario a bulbo con decorazione a vernice rossastra sul collo e sull'orlo, e due monetine bronzee. Queste ultime vennero poi asportate dal Museo, sì che quella di Claudio che ora si espone ne11a bacheca insieme agli altri materiali non è pertinente al contesto, né proviene da Angri. La tomba, pertinente ad un uomo di modeste condizioni e molto verosimilmente di estrazione servile può datarsi alla seconda metà del I secolo a.C.

Un'a1tra stele funeraria anepigrafe, alta cm 100, larga cm 45 e spessa cm 41, venne invece rinvenuta in località Satriano nel 1959, durante la costruzione del ponte dell'autostrada, e prima di passare al Museo dell'Agro Nocerino venne per qualche tempo conservata nel deposito di antichità statali della villa Romana di Minori. La stele, a nicchia centinata, sul cui frontoncino è scolpito un fiore, reca la raffigurazione ad altissimo rilievo di una fanciulla a figura intera che regge con la sinistra il lembo della sopraveste ripiegato a contenere frutta e nella destra sollevata un grappolo d'uva, è in tufo grigio ed è databile ai primi decenni della nostra era. 

La complessa simbologia funeraria che il monumentino evidenzia e le credenze proprie dell'epoca, che si evidenziano sovente nei coevi cippi funerari dell'agro sarnese, portano a ritenere che la figurina rappresenti, più che la defunta, la sua Iuno, ossia la forza generativa e soprannaturale propria del singolo individuo, destinata a sopravvivergli, come continuazione del suo essere, dopo la morte, qui effigiata come dispensatrice di prosperità e abbondanza.

Va peraltro notato che ancora in località Satriano nel 1995 nel corso dei lavori di costruzione dell’ I.A.C.P. venne rilevata accanto ad una strada parallela alla Nuceria-Stabias un’area sacra in funzione in età ellenistica e, nei pressi, un edificio sacro di età romana di piccole dimensioni (m 3,20 x 3,60, conservato per un’altezza di circa 3 metri) distilo e ad una sola cella, all’interno della quale si sono rinvenuti due altari giustapposti, in asse con l’apertura della porta. Lì ancora, sul lato settentrionale di tale strada, venne alla luce un’altra villa rustica pure dedicata anche alla produzione del vino.

La terza ed ultima parte nel numero di gennaio

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