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Quando il bullismo uccide

Il diario di Emilie - Capitolo primo

Il diario di Emilie - Capitolo 1
Alla mia famiglia 
Ai miei amici 
A quelli che subiscono la vita
A tutti quelli che lottano
Siate forti
Battetevi
Si finisce per uscirne

Emilie

.....................

- Nan ti ha detto questo?
- Ma sì, te lo giuro!
- Non posso credere che quel coglione ti abbia detto questo!
- Beh,sì, gli ho detto, se è così vai dalla tua puttana! Ma sul serio, per chi mi ha presa? Sono una donna, io!

Sospirai. Era spaventoso…solo 2 minuti all’uscita.

- Aaaah, è lui!! Mi ha inviato un messaggio!
- Dai, dai! Che ti ha detto?
- Vuole che ci rimettiamo insieme…
- E’ troppo carino! Che gli risponderai?
- Beh, gli dirò di sì, ovviamente, è uno schianto!
- Sta per suonare, vieni, raggiungiamo gli altri.

Uscirono ridendo. Perché questi idioti dovevano sempre fare le loro stupide conversazioni nei bagni? Non potevano lasciarli a chi voleva stare in pace? Perché a parte me, non ho mai visto nessuno passare le sue ricreazioni nascosto nel bagno. 
Insomma, suonò la campanella, potevo finalmente uscire. Anche se avrei forse preferito restarci, visto quello che mi aspettava…
Le toilette erano il solo angolo di questa maledetta scuola dove ero sicura di stare tranquilla. Riuscire a risparmiarmi un quarto d'ora di supplizio rendeva la mia giornata meno insopportabile. Purtroppo, questo momento di pace durava sempre troppo poco. Avanzai nel corridoio in direzione della II. Mi sentivo addosso gli sguardi degli altri. Vedevo i loro sorrisetti quando mi fissavano, sentivo che guardavano le mie scarpe da ginnastica vecchie, i miei jeans sfilacciati, il mio maglione con il collo alto e il mio zainetto. Sentii qualcuna chiamarmi 'barbona' ma non vi prestai attenzione. Trovai, nella mia classe, le due affascinanti signorine del bagno, insieme alle loro pecorelle troppo truccate con le borse di lusso e i tacchi alti e questi idioti brufolosi che chiamano ragazzi.Mi misi in disparte, come al solito, il più lontano possibile dagli altri. Dieci metri di cortile, 156 gradini e un corridoio ci separavano dalla classe. Questo per me era come il percorso del combattente. Schivare i colpi, i calci, gli sputi. Chiudere le orecchie per non sentire gli insulti e le prese in giro. Controllare il mio zaino e i capelli. Trattenere le lacrime. Ancora e ancora. Durante questi minuti infiniti. L’abitudine fece in modo che arrivassi indenne. Entrai in classe, occupai il mio posto, davanti a sinistra, sola, circondata da un perimetro di sedie vuote che mi separava dagli altri.

"Hey, sai una cosa?- ridacchiò un ragazzo abbastanza forte perché lo sentisse tutta la classe tranne il prof-  pare che diano un premio ai secchioni più brutti del Paese".
"Davvero?" rispose il suo compagno di banco "scommetto che abbiamo la vincitrice in classe".
"Sfortunatamente solo le ragazze possono partecipare. Mica quella “cosa” seduta laggiù", replicò il primo.
La classe esplose in una risata. Vedendo che non  reagivo, mi tirò la sua squadra in testa».

Ero così concentrata nel trattenermi dal piangere che non mi resi conto che l’insegnante mi parlava: 
- Hai l’aria strana, Emilie. Vuoi andare in bagno?
Ci mancava solo questo.
- Hai bisogno di riprenderti un po’? - gridò un buffone.

Nuovo scoppio di risate.

- Calmatevi. Riprendiamo.

L'insegnante si voltò e cominciò a scrivere. Provai a fare lo stesso e ad ignorare quello che continuavano a dire alle mie spalle.

"Bisognerebbe inventare una categoria solo per lei. La tipa che non sa né vestirsi né pettinarsi, per esempio" - ridacchiò una ragazza. 
- No, piuttosto quella che non ha capito che sta usando l'armadio di sua nonna - esclamò la sua vicina - Pensi che sappia dell'esistenza degli specchi? 
"Ma certo che no, altrimenti sarebbe già morta di vergogna"  le rispose la prima.

Smetti di ascoltare. Perché vuoi sempre sapere cosa dicono? Ignorale. Non sanno niente. Sono bestie. Parlano troppo. Devono per forza dire quello che pensano. Smetti di ascoltarle. Mi diedi uno schiaffo virtuale e piombai nella lezione e nelle parole del mio prof. Pur rimanendo attenta ai proiettili di cui avrei potuto essere il bersaglio. Quando suonò la campanella, la classe si svuotò alla velocità della luce. Non restavo che io, che non comprendevo mai come facessero gli altri a mettere le loro cose a posto così velocemente. Era il momento della giornata che più detestavo: il pranzo. Diverse prove si svolgevano in quest’ora e mezza. In primo luogo, andare a mangiare. Intrufolarsi tra due gruppi di persone che non mi conoscono, durante l'attesa evitare le persone nella mia classe. E trovare un posto a un tavolo con persone che mi ignoravano, niente di più. Erano facili da individuare queste persone. Si tratta di quelli che mangiano in piccoli gruppi, che non sono troppo giovani. Sono spesso i ragazzi che hanno una faccia buona.
Mangiare senza gusto, fare in fretta per uscire da questa stanza terribile piena di gruppi di amici che ridono e al contempo non mangiare troppo in fretta per non aspettare troppo a lungo al di fuori. Una volta terminato il mio pasto, salivo fino al quarto piano dove non c'era mai nessuno nelle ore di punta, perché nessuno aveva il coraggio di salire lassù. E' lì che sono sempre andata per il pranzo, c'era un corridoio luminoso con ampie finestre che si affacciano sul cortile. Un luogo perfetto per trascorrere un'ora tranquilla per leggere il proprio libro attaccata al termosifone. A volte guardavo gli altri dalla finestra, li vedevo ridere e mi chiedevo cosa avessero più di me. Era allora che mi dicevo: «Metà giornata è passata, resta solo l’altra metà». Ma un pensiero rovinava tutto: «Domani dovrò ricominciare». In fin dei conti, il pranzo non era la parte peggiore della giornata. Trascorrevo un’ora buona immersa nel mio romanzo preferito. La passione per i libri mi è venuta molto presto. Erano i miei tesori, i miei unici amici. Li ho amati come i miei bambini. Un'ora in un mondo di fantasia era una cosa abbastanza bella. Salvo quando qualcuno veniva a tirarmene fuori.

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