Contattateci se interessati a questo spazio.

Storia di Angri - Parte prima

Dall'Antichità al Medioevo

Dopo Il territorio di Angri nell’antichità dell’Archeologo Antonio Varone, con il quale negli ultimi tre numeri abbiamo ripercorso le prime tappe della nascita di Angri,  da questa uscita e per le due successive, Giovanni Vitolo, Ordinario di Storia Medievale all’Università Federico II di Napoli, ci racconterà l’evoluzione della città in circa dieci secoli, dall’anno 800 alle soglie del 1800. Vuole essere un tributo ad Angri ma anche a operatori della cultura ai massimi livelli, grazie ai quali possiamo conoscere meglio la nostra terra.

- ° -

Il territorio attuale di Angri, che in età romana era parte integrante di quello di Nocera (Nuceria Alfaterna), conobbe nel passaggio dall’Antichità al Medioevo una riduzione dello spazio coltivato e del numero delle famiglie coloniche che lo abitavano, ma non una completa desertificazione. Dovette continuare, nella sostanza, il tradizionale tipo di popolamento fatto di case coloniche sparse e di piccolissimi nuclei abitati: il tipo di popolamento che corrisponde alla qualifica di locus, con cui Angri compare per la prima volta nei documenti del IX secolo. 

Allora cominciavano a manifestarsi in Campania i primi timidi segnali di una ripresa economica e sociale, resa lenta e impacciata dal perdurante clima di insicurezza, provocata, soprattutto nelle zone di confine, dal continuo stato di guerra tra i Longobardi e i ducati bizantini di Napoli e Amalfi. E Angri deve proprio alla sua posizione di confine tra il principato di Benevento e il ducato di Napoli la sua menzione nel trattato di pace del 4 luglio 836 tra Sicardo, principe di Benevento, e Andrea, duca di Napoli. Il trattato si componeva di 41 capitoli e il 38° riguardava appunto il territorio di Angri, il cui nome è ora attestato per la prima volta. A partire poi dall’856 il nome compare sempre più di frequente nelle carte notarili conservate nell’archivio della Badia di Cava, di cui è ancora in corso la pubblicazione nel Codex  Diplomaticus  Cavensis (attualmente sono in preparazione i volumi XI e XII, con documenti dal 1081 al 1090).  

Il contratto di pastinato

Si tratta per lo più di contratti agrari, mediante i quali si tentava di introdurre colture arboree in zone incolte e di sottrarre terreno alle paludi che coprivano vaste aree. 

Il tipo di contratto cui si faceva ricorso più di frequente era quello di pastinato che, prevedendo spesso la gratuità della concessione per tutto il tempo necessario alla messa a coltura o al miglioramento del fondo e solo in un secondo momento la partecipazione del concedente a una quota parte dei prodotti, ben si prestava a conciliare gli interessi di chi aveva da offrire solo il proprio lavoro e di chi, pur possedendo la terra, non aveva i mezzi per valorizzarla. Per avere un’idea precisa dei contratti agrari del tempo, può essere utile leggere quello che fu stipulato nell’ottobre del 988 dall’abate della chiesa di S. Massimo di Salerno, proprietaria di molte terre di Angri, e un tal Giovanni Levorano, figlio del fu Sparano:

“Nel nome del Signore. Nel quinto anno del principato del signore nostro Giovanni glorioso principe, mese di ottobre (...). Memoratorio fatto da me Giovanni, figlio del fu Sparano detto Levorano. Alla presenza dei nobili uomini, che hanno sottoscritto il presente atto, don Cennamo, venerabile abate, custode e rettore della chiesa di S. Massimo, assistito dal conte Landoario, uno dei proprietari della predetta chiesa, mi ha dato in concessione, perché la coltivi, la pastini e vi pianti nuovi alberi, una terra attualmente non seminata, che la predetta chiesa possiede in località Angri e propriamente nel luogo detto Tribano. I confini e le misure di essa sono le seguenti: dalla parte di occidente confina con la via pubblica ed ha un’ estensione di 88 passi; dalla parte settentrionale confina con terre del vescovado di Stabia ed ha un’estensione di 54 passi e 1 cubito; da oriente confina con beni degli eredi di Guisone di Angri ed ha un’ estensione di 79 passi; dalla parte di mezzogiorno confina con proprietà del suddiacono Guisone figlio di Bono ed ha un’ estensione di 30 passi (...).

Lo stesso don Cennamo e il suo avvocato (vale a dire il conte Landoario) mi diedero ampia garanzia, ponendomi come garante Mirando figlio di Giovanni abitante in località Tostazzo, che da qui a dieci anni essi avrebbero assicurato a me e ai miei eredi il possesso della predetta terra, difendendo i nostri diritti da qualsiasi contestazione da parte di terzi (...). Io ed i miei eredi, inoltre, abbiamo facoltà di scavarvi fosse, di farvi tutto quello che riteniamo utile, di piantarvi viti, alberi di sostegno per le viti  e alberi da frutto, in modo da raggiungere il migliore risultato possibile in rapporto alla qualità del terreno e alla durata di questa concessione.

  Da parte nostra ci impegniamo a lavorare con continuità la predetta terra di sopra (colture arboree) e di sotto (seminativi), in modo che appaia ben coltivata. Il vino prodotto nell’arco di questi dieci anni sarà tutto nostro e potremo disporne a nostra volontà, senza alcuna molestia da parte dello stesso abate e della chiesa di S. Massimo. Per quanto riguarda invece il raccolto di quanto avremo seminato, ne verseremo alla chiesa la parte (terratico) prevista dalla consuetudine del luogo (...). Passati i primi dieci anni, se io ed i miei eredi vorremo continuare a coltivare la predetta terra, abbiamo la facoltà di farlo. Dobbiamo però, al tempo della vendemmia, avvertire la chiesa e alla presenza di un suo inviato dividere il vino prodotto, in modo che alla chiesa ne spetti un terzo e gli altri due terzi tocchino a noi. Inoltre ci assumiamo l’impegno di tenere in buone condizioni degli appositi recipienti, dove porremo il vino della chiesa, per portarlo, così come prevede la consuetudine, a Pareti di Nocera e porlo nelle botti, dove la predetta chiesa raccoglie il vino ricavato dalle sue terre. Ci impegniamo infine a mantenere a nostre spese l’inviato della chiesa per tutto il tempo in cui starà presso di noi, per seguire le operazioni della vendemmia e la divisione del vino.

  Se (...) per qualsiasi motivo io ed i miei eredi andremo via dal territorio di Nocera e non potremo più coltivare la suddetta terra, essa tornerà nella piena disponibilità della chiesa e dei suoi rettori. Se, però, nell’ arco di tre anni torneremo ad abitare in territorio di Nocera, abbiamo il diritto di riprenderci la suddetta terra e di coltivarla alle condizioni dianzi indicate (...)”.

La colonizzazione

Il processo di colonizzazione era allora in atto anche nel resto del territorio di Nocera, di cui quello di Angri continuava ad essere parte integrante; e dovunque esso procedette parallelamente al formarsi di nuovi centri abitati. Il risultato fu il formarsi nell’Agro nocerino di un nuovo assetto insediativo, caratterizzato dall’esistenza di borghi più o meno grandi, detti casali, dai quali ogni mattina la maggior parte degli abitanti partivano per raggiungere i campi e nei quali la sera facevano ritorno. Il carattere eminentemente rurale dei casali è testimoniato ancora oggi dall’esistenza dei cortili, vale a dire di uno spazio centrale, utilizzato anche per la sosta dei carretti, intorno al quale si dispongono le abitazioni

Tensioni sociali nel 1300

Nel caso di Angri sono ancora da chiarire i tempi e i modi attraverso i quali quattro casali, Ardinghi, Giudici, Risi, Concili, si vennero aggregando intorno ad un nucleo fortificato, le attuali Vie di Mezzo e quelle ad esse adiacenti, che si saldava al castello; è certo però che nel corso del XIV secolo Angri aveva già assunto la sua attuale struttura urbanistica e, pur continuando ancora ad essere considerata dipendente da Nocera, aveva raggiunto, come centro abitato, una sua precisa individualità, con una non trascurabile consistenza demografica e con una struttura sociale più articolata, che vedeva accanto a coloni e braccianti, anche artigiani, ecclesiastici ed esponenti della piccola e media nobiltà. 

Un singolare documento del 1294, andato distrutto nel 1943 nel rogo appiccato dai Tedeschi alla parte più preziosa dell’Archivio di Stato di Napoli, ma per fortuna trascritto in precedenza dallo storico nocerino Michele De’ Santi, ci fornisce un’idea abbastanza attendibile della popolazione di Angri: si tratta dell’infeudazione di Angri al nobile francese Pietro Braerio da parte del re Carlo II d’Angiò. La singolarità consiste nel fatto che il diploma regio non si limita ad indicare il nome del feudo, ma elenca tutti gli abitanti di Angri che tenevano in concessione terre del demanio feudale, per le quali corrispondevano canoni in natura e in denaro nonché prestazioni d’opera sulle terre gestite direttamente dal feudatario. Veniamo così a conoscere i nomi di circa 170 concessionari, che potremmo legittimamente considerare altrettanti capi di nuclei familiari composti da cinque membri, per un totale quindi di 850 abitanti. Ad essi bisogna aggiungere i poveri, i membri del clero e della nobiltà nonché le famiglie che coltivavano terre allodiali, cioè di loro proprietà; tra queste certamente quelle dei Risi e degli Ardinghi, di cui compare nel diploma un solo esponente, Riccardo.

Contattateci se interessati a questo spazio.