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Storia di Angri - Parte seconda

Dal 1100 al 1500

Seconda parte dedicata alla città di Angri dal 1100 al 1500, a cura del Prof. Giovanni Vitolo, Ordinario di Storia Medievale all’Università Federico II di Napoli.

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Si può calcolare che Angri alla la fine del Duecento avesse una popolazione di circa 1100 abitanti: una consistenza demografica non del tutto trascurabile, se si considera che allora non erano molti i centri abitati del Mezzogiorno che superavano i 3.000 abitanti.

A questo risultato contribuì in misura non irrilevante, anche se non valutabile con precisione, l’immigrazione dalle aree circostanti: induce a crederlo il fatto che alcuni degli Angresi del 1294, ai quali possiamo aggiungerne altri documentati nel 1309, siano indicati non soltanto con nome e cognome, ma anche con la località di provenienza: Salerno, Amalfi; il che è prova di immigrazione recente. Altri hanno invece un cognome che fa pensare ad una immigrazione avvenuta almeno nella generazione precedente: De Cava, De Graniano, De Maiori, De Aversia, De Palma, De Cervinaria.

Del resto, che allora la società angrese fosse abbastanza articolata è dimostrato non solo dall’esistenza nel 1294 di tre notai e due giudici, ma anche e soprattutto dalle lotte sociali che ne rendevano la vita agitata non meno che negli altri centri del Mezzogiorno, dato che dovunque nel Due-Trecento appare operante la divisione, sociale e giuridica insieme, tra nobiltà e popolo. 

Il motivo principale di contrasto era costituito dalla ripartizione tra i cittadini del carico fiscale: infatti lo Stato si limitava ad assegnare ad ogni Università, come allora si chiamava il Comune, una determinata quota d’imposta, lasciando alle autorità locali il compito di ripartirla tra gli abitanti. A tal fine ogni anno si procedeva all’apprezzo, cioè alla valutazione dei beni mobili ed immobili di ciascuno. A questo punto però esplodeva il contrasto tra i nobili e i popolani: i primi infatti adoperavano tutti i mezzi disponibili per fare in modo che l’apprezzo venisse fatto con criteri favorevoli ai propri interessi o, qualora ciò non si rivelasse possibile, cercavano di impedirne la formazione, onde far restare in vigore quello dell’anno precedente, che magari erano riusciti a controllare meglio. Se nessuno di questi due tentativi andava in porto, si ricorreva o alla resistenza passiva, rifiutandosi di pagare e lasciando che i popolani si logorassero in lente e costose procedure giudiziarie davanti ai tribunali regi, o all’uso della forza. È quel che fecero i nobili di Angri, i quali, non essendo riusciti a far eleggere degli apprezzatori amici o corrotti, aggredirono nel 1331 i popolani ed incendiarono le loro case.  In questo caso si ebbe l’intervento del sovrano, che impose il rispetto dell’apprezzo sfavorevole ai nobili. Non di rado, tuttavia, i soprusi dei potenti restavano impuniti o suscitavano la reazione violenta degli oppressi.

Un altro dato significativo che concorre a completare l’immagine di un paese ormai dotato di una sua ben precisa identità, è quello relativo all’organizzazione ecclesiastica che nel 1309 faceva capo alla chiesa di San Giovanni, retta da un collegio di preti con a capo un abate, don Matteo de Santa Croce di Sorrento. Nel paese e nei suoi immediati dintorni sorgevano però, sempre nel 1309, varie altre chiese: San Nicola, Santa Maria della Fabricina, Sant’Arcangelo, tutte dotate di un collegio canonicale retto da un abate, nonché San Benedetto, San  Tommaso e San Leucio, alle quali se ne aggiungeranno altre negli anni seguenti. Nel 1384 è documentata la chiesa di Santa Maria Annunziata, presso la quale sorgerà poi nel 1436 il convento dei  Domenicani. 

Crisi e trasformazioni nel Tre-Quattrocento

Anche per Angri i decenni seguenti dovettero, tuttavia, registrare gli stessi problemi che in quegli anni afflissero, sia pur in misura diversa da una zona all’altra, l’intera Italia e buona parte dell’Europa: carestie, epidemie, esplosione del brigantaggio, devastazioni di eserciti, con conseguente calo della popolazione. Purtroppo per il nostro paese non è possibile, almeno per ora, fornire dati di natura statistica, ma è plausibile che anch’esso abbia registrato un crollo non inferiore al 20-30 per cento. A rendere la situazione più difficile contribuì la crisi della dinastia angioina, iniziata con la morte di re Roberto nel 1343 e culminata nell’assassinio della regina Giovanna I nel 1382. Con l’avvento dei Durazzeschi, prima Carlo III e poi Ladislao, il Regno di Napoli recuperò il suo ruolo di grande potenza italiana, ma le sue condizioni interne non migliorarono di molto, anche perché i sovrani fallirono nel loro tentativo di ridurre la potenza della feudalità, del cui aiuto del resto avevano bisogno per la loro politica espansionistica in Italia. E così, quando dopo la morte di Ladislao nel 1414 salì al trono la sorella Giovanna II, si aprì un’altra aggrovigliata e sanguinosa crisi dinastica, iniziata con l’intervento di Luigi III d’Angiò, che rivendicò i suoi diritti al trono, creando così le premesse per la comparsa sulla scena napoletana di Alfonso d’Aragona, che la regina adottò come figlio ed erede per averne aiuto contro il pretendente angioino. Successivamente però Giovanna revocò l’adozione di Alfonso e scelse definitivamente come erede lo stesso Luigi. La conseguenza fu la guerra tra i due contendenti, che continuò anche dopo la morte di Luigi, dato che i suoi diritti passarono al fratello Renato, e che si concluse nel 1442 con la vittoria definitiva di Alfonso.

In queste vicende Angri fu coinvolta fin dall’inizio, perché il suo signore Giovanni Zurlo si schierò, insieme al fratello Francesco, conte di Nocera e Montoro, dalla parte di Luigi d’Angiò. Contro di loro mosse il condottiero Braccio da Montone, che combatteva al servizio della regina e di Alfonso d’Aragona. Angri fu presa il 24 settembre del 1421. Sull’episodio gli storici locali, in assenza di notizie sicure, hanno dato libero sfogo alla fantasia, immaginando una disperata e valorosa resistenza da parte degli abitanti, guidati da capi improvvisati dopo la fuga dello Zurlo, e terrificanti scenari di terrore e di morte dopo la resa. In realtà l’episodio non ebbe alcuna rilevanza militare, perché i piccoli centri come Angri passavano continuamente da uno schieramento all’altro, per lo più in mezzo all’indifferenza delle popolazioni, che, tra l’altro, avevano non poche difficoltà a capire e a seguire i continui voltafaccia dei loro signori. L’espressione “Angarium oppidum (...) magno impetu diripuit espugnavitque” (assalì ed espugnò con grande impeto la fortezza di Angri), usata da Giovanni Antonio Campano, biografo di Braccio da Montone, in relazione alla conquista di Angri, non va presa alla lettera, ma va piuttosto interpretata tenendo presente lo stile usato dai biografi e dagli storici umanisti del Quattrocento, i quali erano attenti più alla forma letteraria che alla precisione del racconto e tendevano a rivestire i loro eroi dei panni dei condottieri romani. Gli eserciti mercenari del tempo, tra l’altro, non erano attrezzati per organizzare difficili assedi e ottenevano la resa dei piccoli centri abitati fortificati più con la minaccia dei danni che avrebbero potuto arrecare alle coltivazioni delle terre circostanti, e soprattutto ai vigneti, particolarmente vulnerabili, che con sanguinosi assalti. E ad Angri la coltivazione della vite doveva avere già allora un certo rilievo, se godeva di grande rinomanza il locale vino Mangiaguerra, definito nel 1549 da Sante Lancerio, bottigliere di papa Paolo III Farnese, “possente, dolce assai et carico di colore”, nonché capace di “incitare la lussuria”. Agli inizi del Seicento, come vedremo, era esportato a Napoli, a Roma “ed in ogni parte”.

Ma, checché sia di ciò, episodi del genere non contribuivano di certo alla ripresa economica e sociale dopo la recessione del secolo precedente, tanto più che le epidemie di peste infuriavano ancora: una colpì il Mezzogiorno proprio l’anno dopo, nel 1422. Per avere una inversione di tendenza bisognerà attendere ancora qualche decennio, quando, con l’inserimento del Regno di Napoli nei domini della Corona d’Aragona, si ebbe l’avvio di un nuovo ciclo espansivo dell’economia meridionale, destinato poi a protrarsi per tutto il Cinquecento.

Il cambiamento di rotta è misurabile ad Angri attraverso due indicatori: l’incremento demografico e la disponibilità di risorse destinate all’abbellimento di edifici pubblici e privati. Negli anni 1443-45 il paese viene già censito per 217 fuochi, nuclei familiari, pari a circa 1.200 abitanti, cifra ottenuta applicando ai fuochi il coefficiente 5 e tenendo presente che ai fini fiscali non venivano censiti i poveri e i membri del clero: il che significa che i vuoti nella popolazione erano stati colmati e si stava già superando il livello degli inizi del Trecento. A puro titolo di confronto si riportano i dati relativi ai maggiori centri del Salernitano: Cava 820 fuochi, Salerno 699, Nocera 511, Sarno 385. La crescita continua nei decenni seguenti, per cui nel 1474 i fuochi sono 263, pari a circa 1.400 abitanti, per poi fermarsi agli inizi del Seicento, quando comincia una nuova fase di depressione economica e demografica, destinata a protrarsi per tutto il secolo. 

continua nel numero di aprile

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