Contattateci se interessati a questo spazio.

Il suicidio

Abbiamo il diritto di scegliere?

Si racconta che i Torinesi, guidati da Santorre di Santarosa alla reggia a chiedere a Carlo Alberto la Costituzione, gridassero Vogliamo la costipazione (sic!). 

Può darsi che si tratti solo di un aneddoto coniato da un buontempone, ma ugualmente la dice lunga sulla incapacità dei Torinesi, ma anche di tanta altra gente comune, di fare un salto da sudditi a cittadini. Per inciso, aggiungo che Carlo Alberto la concesse, ma poi, al ritorno dello zio Carlo Felice, su ordine partito da Vienna, dovette ritirarla. Non bisogna dimenticare che eravamo in periodo di ferrea Restaurazione! Come si sa, per la delusione, Santorre di Santarosa andò a morire in Grecia e Carlo Alberto, dopo la sconfitta del 1848, ferito e con diecimila lire in tasca riparò in Portogallo e quando, ad Oporto, dovette presentarsi al questore, si trovò difronte, nientepopodimeno che, il figlio di Santorre. 

Ironia del caso o nemesi storica?! 

Mi è tornato alla mente quesrto episodio quando ci siamo recati alle urne ed abbiamo espresso il nostro desiderio di difendere la Costituzione, ma anche quando il presidente Mattarella ha voluto rendere omaggio al Tricolore. Già Carlo Azeglio Ciampi, un Presidente che voleva bene all’Italia ed agli italiani, ci aveva spronati a cantare l’inno di Mameli, che sentiamo cantare da 18milioni di tifosi e solo da 500mila presenti alla cerimonia della Festa della Repubblica e, per giunta, solo nella prima strofa. Mattarella ha voluto ricordare che in quell’inno ci sono due versi importanti: 

Noi siam da secoli percossi e derisi/ perché non siam popolo, perché siam divisi. 

La diversità di opinioni è il sale della democrazia, ma diventa una guerra civile se si mettono in discussione i principi fondamentali su cui si basa il viver civile. Dividersi tra Bartali e Coppi o tra Rivera e Mazzola mi sta benissimo, ma escludere uno dei due dal giro o da una finale mondiale è operazione da folli, come la definirono gli Inglesi. Ora però c’è in ballo una questione che non può essere condizionata da ideologie, da credenze religiose o da pregiudizi vari: è la tremenda questione suscitata dal povero dj Fabo. È una questione che non può essere risolta da un Parlamento, né da un voto referendario. Lo Stato e noi cittadini abbiamo il diritto-dovere di regolamentare i rapporti con le Istituzioni e tra noi cittadini dalla nascita e fino alla morte, ma non possiamo decidere su ciò che accade prima e dopo. Ho spulciato nella mia memoria per raccogliere insegnamenti storici o frutto di grande letteratura. Ricordo Durkheim che attribuisce il suicidio al fallimento di valori esaltati nel momento storico. E porta l’esempio degli ufficiali napoleonici che si suicidarono in massa dopo la disfatta di Russia per non affrontare l’ira di una Francia sconfitta. Ricordo Primo Levi che morì suicida per non essere afflitto da quell’idea di non essere stato uomo in quel disperato internamento nei lager nazisti. Ricordo i Lloyds di Londra che si suicidarono alla notizia del naufragio del Titanic. Ricordo il suicidio di Ansaldo in seguito al fallimento. Ricordo Dante che scrive: 

Tanto è amar che poco più è morte...

Ricordo Wronsky che si fa uccidere in battaglia dopo la morte suicida di Anna Karenina di cui si sente responsabile. Ricordo la povera Emma Bovary e mi sono accorto che ogni suicidio ha una motivazione diversa. Col povero dj Fabo mi sono chiesto: è vita quella che ti lascia solo un cervello pensante? Sappiamo forse che cosa baleni nella mente di chi si getta nel vuoto, in quei pochi istanti che trascorrono dal salto da un quinto piano all’impatto col suolo? Sappiamo forse che cosa baleni nella mente di chi sta per premere un griletto contro la propria tempia? Scrive Dostojewskji: Se a un condannato a morte offrissero di vivere ancora un giorno legato ad una roccia e divorato dalle arpie, ebbene costui sceglierebbe la seconda ipotesi. Dov’è la verità? E che dire di quelle tremende situazioni in cui viene a trovarsi chi deve decidere della sorte di un congiunto malato terminale e vittima di atroci sofferenze? Siamo in tanti, purtroppo, ad esserci trovati in una situazione del genere. Mi sia concesso di riferire la mia terribile esperienza. In una triste sera di settembre del 1973 mia madre, appena sessantenne, ricoverata alla Villa Stabia ormai in condizioni gravissime, soffriva terribilmente. Erano le otto di sera. Scesi in astanteria ove trovai i medici che l’avevano in cura. Chiesi loro di fare qualcosa per lenire quelle sofferenze. Mi risposero: Un’altra iniezione di morfina sua madre non la tollererebbe. Che fare? Sta a lei, figlio, di decidere. Rifiutai. Non volevo uccidere mia madre e mi affidai alla volontà di Dio. Mia madre emise l’ultimo respiro alle cinque del mattino successivo. Mi comportai bene facendola soffrire, inutilmente per altre sette lunghissime ore? Me lo chiedo ancora oggi ed ancora oggi la domanda mi angoscia. E come risponderei ad un eventuale referendum? Che Dio illumini le nostre coscienze!

Contattateci se interessati a questo spazio.