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La chiesa di San Biagio ad Angri

Un antico tempio della Cristianità tenuto in uno stato di vergognoso abbandono

Nella strada dove ho vissuto la mia infanzia: via Concilio, alla fine di essa verso la montagna, là dove si incrocia con la strada provinciale, c‘era una volta la chiesa di San Biagio come noi comunemente chiamavamo la Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, perché in essa si venerava San Biagio vescovo, medico e martire. Di lui si racconta che nella caverna dove viveva, dopo aver recitato le preghiere, visitava gli ammalati e alla fine entravano anche gli animali uno alla volta per farsi medicare le loro ferite.

Era una chiesa piccola, ma piena di luce, splendida con il quadro raffigurante la Madonna di Costantinopoli in alto al di sopra dell’altare con la corona di stelle in testa e il Bambino in braccio; alla sua sinistra la statua di San Biagio risplendente nel vivido mantello rosso-granata e la mitra in testa. Intorno la statua dell’Immacolata e gli altri santi che facevano come da cornice e tutti insieme avevano un non so che di familiare, di gioiosa contentezza, sembrava ti aspettassero felici di rivederti. Quando vi entravi ti sentivi subito in un altro mondo, finiva il frastuono della strada, la visione violenta e alienante della vita convulsa e ossessiva, avvertivi fisicamente il calore dei santi, dal cui sguardo traspirava bontà e amore, una sensazione quasi mistica ti avvolgeva, entravi veramente in un posto sacro, in un regno di pace, di serenità, di bellezza e solennità incomparabile, ti sentivi più vicino a Dio.

Ora si è perduto il senso delle cose belle, il senso mistico della religione. Le chiese di nuova costruzione, nella più gran parte, sono spoglie, fredde, aride. Sembrano dei templi pagani, delle chiese protestanti, dei sepolcri imbiancati, luoghi spogli di santi, di immagini sacre, vuoti, senza calore, senza anima.

Alla chiesa di San Biagio erano legate tutta una serie di tradizioni belle e fantasiose che fanno parte di un folklore d’altri tempi. La devozione dell’olio santo sulla gola, applicato direttamente dal parroco titolare della chiesa, che di quel rito, di quella tradizione era custode geloso e devoto, nel giorno della festività del santo, per proteggersi dalle malattie di gola e mangiare poi il panino benedetto per crescere buoni e santi, a cui poi seguivano gli spettacoli pirotecnici della corsa e rincorsa del gatto e del sorcio sul filo, ed il “ciuccio di fuoco” portato velocemente con un carrettino da un volontario per tutta la strada e scoppiettante nei suoi fantastici fuochi d’ artificio. Era la festa del nostro rione, quella che caratterizzava via Concilio e la chiesa di San Biagio e ci teneva legati ad essa che la consideravamo come qualcosa di nostro, che ci apparteneva. Ora la chiesa di San Biagio c’è ancora, sta sempre al suo posto, ma è in uno stato di vergognoso abbandono. La facciata esterna con la porta di ingresso una volta bella, lucida, accogliente, è oggi invece sporca, decrepita, cadente e sempre chiusa.

Che squallore, che malinconia.

Oggi al posto della chiesa di San Biagio è stata costruita un’altra chiesa bianca, asettica con appeso al muro là in alto a lato dell’altare un ferro incrociato che vorrebbe essere un crocefisso, con una serie di fili di ferro intrecciati ai lati dei muri che vorrebbero essere non so che, mentre intorno nessuna immagine sacra, senza la presenza confortevole dei santi. Ed è veramente strano e fa riflettere questo voler spogliare le chiese dei santi, mentre mai come ora a livello papale e del vaticano si continuano a sfornare santi di ogni specie, non sempre dotati di eccezionali poteri carismatici e di virtù taumaturgiche o che in vita abbiano compiuto opere davvero miracolose al di fuori del comune e trascinato con il loro esempio e con la loro vita  folle immense nella venerazione e nell’adorazione di Dio.

E tuttavia noi siamo legati ai santi, uomini eccezionali che si sono elevati con lo slancio della loro carità, per il grande amore verso il prossimo e con la loro dedizione a Dio, al di sopra delle miserie terrene, li sentiamo più degni di noi per intercedere presso Dio, per porgere ai suoi piedi le nostre umili e struggenti preghiere e a volte le nostre disperate suppliche. Essi sono ancora e sempre i nostri protettori, i nostri avvocati presso Dio. Leggevo in un opuscolo dedicato a San Francesco che già nel 1263 papa Gregorio IX dedicava a San Francesco d’Assisi una “Specialis ecclesia”, e il vescovo di Pisa scriveva a riguardo: “Che era una chiesa gloriosa, bellissima e spaziosa, arricchita di grandi privilegi e molti tesori. E così devono essere costruite le chiese di tali santi, che cioè l’animo vi ami andare, in esse fermarsi e anche ritornare”. Le chiese devono essere quindi, oltre che un luogo di culto e di preghiera, dei veri e propri monumenti alla Divinità, darci l’idea della sua grandiosità, e trasfondere in noi il calore del suo amore e il desiderio di ritornarci.              

Basta allora con questi templi pagani, con queste chiese nude.

Ridateci lo splendore delle chiese di una volta, ridateci i nostri santi, ridateci le nostre certezze in questo secolo buio in cui si brancola nel dubbio, nell’incertezza, nello scetticismo. Dove è finito lo splendore della nostra religione, dove è finita la fiamma della nostra fede. Tutto è ormai così precario, così aleatorio, così legato all’attimo fuggente. La vita scorre vorticosa, troppo rapido il progresso, troppo aggressivi i mezzi di comunicazione che ci bombardano senza sosta con le loro offerte di una vita effimera e confortevole. Tutto è legato a un materialismo imperante, a un consumismo sfrenato.

Una volta le chiese erano sempre aperte. Oggi i preti hanno le chiavi in tasca. Aprono per dire una messa quando possono, hanno degli orari stabiliti come gli studi dei professionisti, anzi peggio. Sono diventati dei burocrati, dei prestatori d’opera, la religione ridotta a professione. E dov’è la mistica, la contemplazione della Divinità, l’anelito verso Dio. Oggi la chiesa che dovrebbe essere il custode  geloso della religione cattolica, mi sembra diventata una “ ONG” affannandosi a migliorare le condizioni materiali dei poveri, accogliendo immigrati senza fede e che sono apertamente contro la dottrina cattolica, dimenticando la miseria morale e spirituale di tanta gente. Si è fermata all’aspetto esteriore, materiale, transeunte della persona umana, si è fermata al corpo dimenticando l’anima. Ha fatto della povertà la sua bandiera, un dogma. Come se la povertà fosse veramente una virtù, un qualcosa a cui aspirare, il conseguimento della vera felicità. Ma quelli che voi accogliete, assistete e blandite con ogni mezzo fuggono dalla povertà, dalla miseria, dalla desolazione e ci odiano. E la gente benestante che con lavoro e sacrificio ha cercato di elevarsi al di sopra delle miserie materiali e morali cercando di costituire una società migliore e dare un avvenire di serenità e di pace ai propri figli, trattati  come degli arrivisti, degli sfruttatori. Tutto ciò sa tanto di livellamento verso il basso, di demagogia, di populismo. Questo non è l’amore predicato da Gesù verso il prossimo, che non è solo e sempre il povero materialmente, ma anche e soprattutto il povero moralmente, chi vive senza la luce di Dio, chi brancola nel buio del dubbio, dell’incertezza, del nulla. Comunque e oltre ogni considerazione la lotta alla miseria, il miglioramento delle classi indigenti, una migliore e più equa redistribuzione della ricchezza compete ai governi, spetta ai governanti. La chiesa cattolica, secondo me, dovrebbe curare lo spirito dell’uomo e avvicinarlo di più a Dio. Abbiamo bisogno più che mai dello slancio mistico, dell’anelito verso Dio di uomini di grande forza morale e spirituale, di veri santi. E che dire di certi crocefissi esposti in alcune chiese che fanno addirittura rabbrividire per la loro bruttezza, da sembrarmi perfino delle immagini blasfeme, in un luogo sacro quale vuol essere la chiesa. Sembrano dei feticci, veri e propri totem peggiori di quelli delle tribù dei selvaggi che vivevano nelle profondità delle foreste del Borneo o delle primitive popolazioni dell’America. Come si può arrivare a tanto sacrilegio: possibile che la gente di quei luoghi, i rappresentanti del clero, i preti preposti a certe parrocchie abbiano potuto scegliere queste immagini così orride per rappresentare il Cristo Gesù nostro redentore? Ma Gesù era bello, di una bellezza soprannaturale, di un splendore che nemmeno la morte poteva offuscare. Gesù era bellissimo anche nella morte che lui aveva accettate coscientemente nel suo immenso amore di redimere l’umanità.

Che brutti tempi stiamo vivendo.

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