Contattateci se interessati a questo spazio.

Con il Vesuvio sotto i piedi - Cap. XI

La scoperta del monumento dei Telamoni a Nocera Superiore

Il libro Con il Vesuvio sotto i piedi è scaricabile da Amazon, in formato kindle, al prezzo di € 1,88.

Marisa de Spagnolis è una illustre archeologa, autrice di oltre cento  pubblicazioni relative all’attività svolta in Campania e nel Lazio. Per le sue eccezionali scoperte ha tenuto conferenze in Italia, Israele, Grecia, Stati Uniti. 
Nel 1987 si è trasferita a Pompei con l’incarico di direttore degli Uffici Scavi di Nocera e Sarno. 
Nel territorio nocerino, sarnese e scafatese ha scoperto numerosissime testimonianze archeologiche tra cui: 

  • 540 tombe protostoriche della Valle del Sarno; 
  • tombe dal V a.C. al V d.C. a Nocera Superiore; 
  • iscrizioni ebraiche che documentano l’esistenza di una sinagoga; 
  • la monumentale necropoli romana del I secolo a.C. in località Pizzone a Nocera Superiore; 
  • l’area archeologica di piazza del Corso a Nocera Inferiore. 

A Scafati ha portato alla luce numerose ville, seppellite dalla eruzione del Vesuvio del 79 d.C., alcune delle quali esplorate: Villa Popidi Narcissi Maioris, Villa Vesuvio, Villa Cascone Sorrentino e monumenti funerari tra i quali il monumento della Gens Decia e il sepolcro della più importante famiglia pompeiana al tempo di Nerone: i Lucrezi Valenti.  Quasi tutti gli scavi effettuati sono stati oggetto di pubblicazioni scientifiche. 

Nel  1997, rientrata a Roma,   le viene affidata la responsabilità di parte della provincia di Roma e di parte della provincia di Latina, dove ha datato le mura e la Porta Maggiore di Norba e scoperto il santuario di Ercole a Itri. Dal 2010 al 2012 ha diretto uno dei più importanti musei  nazionali italiani il Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga dove ha realizzato numerosissimi eventi e mostre e dove ha effettuato, nell’estate del 2012,  l’eccezionale scoperta delle testimonianze dell’uomo di Neanderthal.  Nel 2014 svela con il libro Mefitis e il Lucus Iunonis  il mistero dell’ identità della dea delle sorgenti del Sarno.

.-.

La nostra gratitudine per averci consentito questa pubblicazione.

.-.

Volli continuare l'esplorazione della necropoli di Pizzone. Scelsi uno degli edifici funerari che levava al cielo un moncone informe di muratura, avanzo senza vita di uno splendido monumento. Rinvenimmo subito, a breve distanza da esso, un leone di tufo che ne era stato sottratto per essere utilizzato come materiale di costruzione per le tombe a cassa che colonizzarono l'area in epoca imperiale. Rabbrividii al pensiero di quante sculture, quanti rilievi, quanti elementi decorativi di monumenti funerari erano stati letteralmente fatti a pezzi per fornire materiale a nuove e modeste tombe ad inumazione.  Il moncone di muratura, come un albero di pietra grigia, era quanto restava di una imponente costruzione che con la sua maestosità aveva esaltato la grandezza di Roma. La struttura appariva completamente spoglia di decorazioni e priva di columelle, mute abitatrici e custodi di quei luoghi in cui serbavano il ricordo di presenze lontane. Approfondimmo lo scavo al di sotto di quella soglia di terreno che segnava cronologicamente  due  distinti  momenti.  L'eruzione  del  Vesuvio  aveva salvato e protetto anche parte di Nuceria.  Ero consapevole che al di sotto di quella informe struttura mi attendeva una realtà diversa, incontaminata, un vaso di Pandora da dove avremmo estratto chissà quale tesoro. Ed infatti, quanto man mano veniva fuori dal la pillo scivolato e compresso rivelava schemi architettonici insoliti ed una qualità di esecuzione non comune.  Mi sembrò quasi il regalo d'addio che il territorio avesse voluto farmi, forse il regalo più gradito che avessi potuto ricevere e che mi ripagava, insieme a tutti gli altri, del decennale lavoro svolto.  Quello che emergeva davanti ai nostri occhi superava ogni più rosea aspettativa e quasi non credevamo a ciò che lentamente affiorava. Venivano alla luce blocchi in tufo di rivestimento del nucleo cementizio interrotti da semicolonne aggettanti poggianti su basi.  Al di sotto del piano di imposta delle colonne era una trabeazione architettonica con decorazione a treccia, che caratterizza normalmente edifici alto medioevali.  Non era quella fascia la risega terminale dell'edificio, ma una trabeazione sostenuta, con nostra somma meraviglia, da una serie di Telamoni inginocchiati.  I Telamoni, tre di quattro, erano raffigurati quasi a tutto tondo, con le braccia piegate e sollevate verso l'alto a sorreggere, a mo' di colonne, una sorta di dadocapitello. Essi apparivano compressi nello sforzo di sostenere un peso eccessivo. I piccoli uomini, inginocchiati, dal possente torace, dai muscoli ben evidenziati, presentavano teste incorniciate da folte capigliature e da lunghe barbe. La fissità dello sguardo sembrava dimostrare la concentrazione verso ciò che stavano facendo.  La visione dei Telamoni affiancati, a breve distanza l'uno dall'altro ci riportava alla mente quelli dell'odeion di Pompei. Eravamo di fronte ad un rinvenimento eccezionale sia per lo schema iconografico in un contesto funerario sia per lo stato di conservazione.  La libertà di immaginare è uno dei lussi che mi sono sempre permessa di concedermi nella vita, ma di fronte a tale rinvenimento essa perdeva ogni valore. Ciò che veniva fuori superava ogni possibile immaginazione.  

Contattateci se interessati a questo spazio.