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Finiti "gli anni del rogo": leggere non è più reato.

Credevo fosse illegale. Ero convinta che seppur non fosse la diretta conseguenza di un dettame di legge, fosse probabilmente frutto di un’azione massonica volta al “perfezionamento” delle nostre condizioni di vita o fosse, comunque, il risultato di una consuetudine ben consolidata...
Credevo fosse illegale. Ero convinta che seppur non fosse la diretta conseguenza di un dettame di legge, fosse probabilmente frutto di un’azione massonica volta al “perfezionamento” delle nostre condizioni di vita o fosse, comunque, il risultato di una consuetudine ben consolidata.

Pensavo ci fosse stato un accordo sottobanco per il quale la gestione di una simile attività fosse consentita solo a soggetti ben individuati ed in esclusiva via etere o in luoghi precisi, evidentemente lontani da Angri, controllati, supervisionati, selezionati, censurati, omologati, affiliati.

Ogniqualvolta mi capitava di scorgere persone sfogliarne uno con folle disinvoltura, rilassati magari all’ombra di un albero, mi travolgeva anzitutto un senso di inquietudine e incontrollato, poi, mi tornava alla mente uno stralcio letto da bambina in un racconto di Bradbury: “I libri sono pericolosi. Buon Dio, non ce ne sono due che vadano d’accordo. E tutto quel parlare difficile, una babele di sciocchezze e diffamazioni. Noi semplificheremo, chiariremo, fenderemo alla radice, bruceremo […]”.

Come in “Fahrenheit 451”, reputavo la popolazione suddita di un complotto. Un piano di pulizia cominciato anni fa con l’arrendevolezza alla chiusura dell’unica libreria di Angri, e smascherato, in tempi più recenti, dal numero di centri scommesse in inarrestabile crescita anacronistica nella nostra amabile cittadina, laddove nel resto del Paese fervono movimenti Slotmob avverso il gioco d’azzardo legalizzato e le sue conseguenze patologiche.

Ho considerato che non ci volessero far pensare. Oltre a lamentele di circostanza (“Perché poi qua ci stava pure una libreria, ma mo’ manco per andare fuori…”) non ho mai visto in 10 anni alcun tipo di reazione che si facesse promotrice della cultura del libro, sia in termini di incentivi per l’apertura di una nuova libreria - per inciso, a Napoli hanno aperto una libreria ad azionariato popolare - sia per la salvaguardia della biblioteca angrese che anzi è stata smantellata e destinata a “non-usi” di interesse pubblico oscuro.

Poi un giorno passando in via Giovanni da Procida… “Prossima apertura: DON CHISCIOTTE – libreria”. Mi fermo di botto. Leggo di nuovo. Mi stropiccio gli occhi, li sgrano, mi guardo attorno, scruto i passanti: la vedo solo io? Guardo l’orologio: allucinazioni da appetito, ecco! Impossibile che qualcuno si sia smosso dal torpore di una dittatura tecnologica. Incredibile che qualcuno sia riuscito a scuotersi dall’indifferenza iniettata dai media. E poi, soprattutto, la scelta del nome: Don Chisciotte, il cavaliere errante quando cavalieri non ce ne sono più, febbricitante in un’epoca fredda. Lacrime nostalgiche mi hanno riempito il cuore al ricordo del romanzo epico-picaresco e del suo mirabile protagonista, eroe senza pari che non teme di combattere giganti, demoni, eserciti, pur se frutto esclusivo del suo sguardo. Cervantes, nel provare a reagire alla crisi di valori che compenetra quell’epoca, da vita ad un personaggio folle in modo consapevole, audace nel tentare di smascherare la realtà e nel dare spazio all’istinto e all’ignoto. Erri De Luca, con il suo “Chisciottimisti”, ci insegna che Don Chisciotte non è un sognatore al quale basta svegliarsi per porre fine al sogno; è piuttosto un visionario, “perseguitato in veglia da una lucidità spietata”. Egli non travisa la realtà, ma la vede meglio di chiunque altro e pertanto è chiamato a correggerla. È quindi più realista di chi, invece, cede dinanzi alla realtà stessa e contribuisce a mortificarla restando inerte, spettatore di fronte a ciò che non va. Don Chisciotte è dunque eroe ed è invincibile non perché vince sempre, ma perché nonostante tutto continua a battersi.

Chissà se il libraio ha fatto sua l’indole del cavaliere… eppure l’associazione di idee sorge spontanea.

Con un occhio alla realtà, a pensarci, chi ha intrapreso quest’attività libraia lontana da qualsiasi tipo di franchising e quindi indipendente, da buon ‘chisciottimista’ ha avuto un gran fegato.

Infatti, a voler tirare fuori un po’ di numeri (perché non c’è parlare che tenga senza dare i numeri) è dal 2010 che i dati ISTAT sulla produzione e la lettura di libri in Italia ne denunciano un consumo calante seppur altalenante: si va dal picco del 43% nel 2013 al 41,4% dell’anno successivo e alla ripresa, di pochi decimi, nel 2015 con un incoraggiante 42%. Tuttavia, queste sono solo le percentuali riguardanti persone di 6 anni e più che hanno dichiarato di aver letto almeno un libro in 12 mesi; buoni miglioramenti si registrano nella fascia tra gli 11 e i 17 anni (forse non tutti gli adolescenti sono dediti alle full immersion da xbox); per quanto riguarda, invece, le statistiche sugli adulti, per decenza meglio non riportarne i numeri. Basti prendere atto che la percentuale di consumatori adulti, perlopiù donne, è davvero scarsa. Tale situazione si può anche contemplare: non c’è tempo tra il lavoro, la casa da gestire, la bimba da portare a danza, il bambino da accompagnare a calcetto, le public relations da mantenere sui social e anche dal vivo, la cronaca nera da seguire in tv, la cura del corpo… che fai, metti un libro nel borsone della palestra, tra asciugamani bagnati e maglie sudate? Piuttosto potresti portarlo nella tua big bag durante lo shopping, ma rischi che si rompe un uovo e la frittata è fatta. Poi i modaioli dicono che il libro fa vecchio, gli ambientalisti urlano alla distruzione delle foreste. Insomma, non è il caso. Meglio passare agli eBooks! Ma a riguardo i dati riportano che solo l’8% della popolazione complessiva compra eBooks. Intendiamoci, siamo nel 2016 e ci viene imposto dall’istinto di sopravvivenza di stare al passo con la tecnologia; aggiornarsi è tanto utile quanto necessario, ma se funziona. Di che progresso parliamo se ancora oggi risulta che “Nel Mezzogiorno la lettura continua ad essere molto meno diffusa rispetto al resto del Paese. Meno di una persona su tre al Sud ha letto almeno un libro.”? È davvero avvilente. La verità si fa spazio da sé in mezzo a scuse, pretesi e attenuanti, luminosa e spaventosa nella sua nudità disarmante: non è più questione di rigetto all’odore di pagine ammuffite né tantomeno di praticità nell’avere a disposizione sul pc, con un click, un catalogo fornito in cui scegliere. Il problema è un altro. Qualche tempo fa, leggendo in un articolo che il lettore medio subisce una vera tortura quando un libro non è disponibile in magazzino e deve essere ordinato, ho ricordato come Calvino descrive quello che si può definire il “lettore forte”, accanito, il quale dopo aver acquistato un libro si espone a tentazioni intermittenti nel cominciare a leggerlo per strada, in piedi in autobus o addirittura al lavoro. È evidente che qualcosa accomuna lettore medio e lettore accanito e quel qualcosa è l’impazienza: da un lato, di attendere l’arrivo del testo ordinato, dall’altro di divorare quello appena comprato. Tutti i numeri e le percentuali citate sopra perdono, quindi, di rilevanza. Non è la quantità, il tempo o il canale di acquisto a fare la differenza , ma la voglia. Parliamoci chiaro: se non si legge è perché non si ha voglia leggere. E nell’andare ad analizzare le cause di questa nolontà letteralmente intesa arriviamo alla libreria Don Chisciotte. È un report dello scorso anno che deve far riflettere noi tutti, individui, collettività ed istituzioni. Nel prospetto di indagine si segnala che la propensione alla lettura è fortemente condizionata dall’ambiente in cui la persona si sviluppa. Se ai bambini di oggi, che formeranno la categoria adulti di domani, manca la volontà di aprire un libro è perché non sono abituati né educati a farlo. Educazione non è la sola imposizione dettata dalla scuola e finalizzata allo studio delle materie didattiche. Educazione è culturalizzazione, è dare stimoli alla persona in ogni momento e in ogni contesto in cui si muove e sviluppa. La presenza di una libreria sul nostro territorio e l’incentivo di essa, anche da parte degli apparati pubblici e governativi, è essenziale per (ri)educare la popolazione angrese all’idea del libro, al fatto che è ancora una valida realtà e non un vezzo vintage o una pratica surclassata. È un input che deve invogliare alla curiosità, alla scoperta, alla familiarità e poi successivamente all’alternativa, alla quiete, al conforto che un libro può dare, a quel benessere che il recentemente scomparso Umberto Eco sintetizzava così: in omnibus requiem quaesivi et nusquam inveni nisi in angulo cum libro (Ho cercato pace ovunque senza trovarla mai tranne che in un angolo con un libro).

Dunque, “Gli anni del rogo” sono finiti. Ora leggete.

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