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Il costo umano dell'ipocrisia mondiale

Come ci lasciamo uccidere dal potere del denaro. E la tua vita quanto vale?

Chi di voi sa cos’è il glifosato, alzi la mano! Per chi non lo sapesse, niente panico, forse a conclusione di questa lettura sarà discretamente informato da farsi una propria idea su quella che è una questione alquanto chiacchierata negli ultimi tempi.

Il glifosato è la sostanza chimica alla base del “Roundup”, il diserbante più diffuso nel mondo dell’agricoltura, del giardinaggio e della cura degli spazi verdi urbani, grazie al suo devastante potere erbicida. Prodotto brevettato intorno agli anni ‘70 dalla multinazionale Monsanto, è andato a rivoluzionare soprattutto il settore dell’agricoltura in quanto ha sostituito prodotti “più tossici” per i terreni che agiscono prima della crescita delle piante. Il Roundup, invece, può essere utilizzato anche in post-emergenza ovvero in “copertura”, cioè sulla vegetazione già in coltura, essendo assorbito attraverso la superficie delle foglie e trasportato dal sistema linfatico verso ogni parte della pianta. Insomma, gli agricoltori possono dormire finalmente sogni non infestati dalle erbacce.

O forse no.

L’esperienza umana insegna che ogni bella storia nasconde una magagna e così anche il magico glifosato. L’IARC (International agency for research on cancer), ente scientifico in seno all’Organizzazione mondiale della sanità, il marzo scorso ha inserito il glifosato tra le sostanze con probabili effetti cancerogeni e dannosi per il DNA. Paura per la Monsanto Company che detiene oramai l’egemonia nel campo diserbanti; tale notizia, infatti, se diffusa e condivisa da buona parte dei Governi, non potrebbe che minare immediatamente il potere di mercato della multinazionale. Si consideri che la cosiddetta “Soia Roundup Ready” è stata creata in laboratorio proprio dalla stessa compagnia ed è attualmente il prodotto transgenico maggiormente coltivato al mondo, con una percentuale dell’87% solo negli Stati Uniti. Tra le colture geneticamente modificate si registrano anche mais, cotone e colza che insieme alla soia riescono a tollerare il glifosato proprio grazie al transgene. La multinazionale ha dovuto, quindi, darsi da fare per stemperare la risonanza dell’allarme e si sa, la miglior difesa è l’attacco: le valutazioni dell’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro sono state, infatti, definite “junk science” (scienza spazzatura) in quanto l’IARC avrebbe volutamente ignorato gli studi che, di contro, supporterebbero il giudizio di non pericolosità del glifosato. La Monsanto, inoltre, ha dichiarato di potersi aprire al confronto solo quando interverrà l’agenzia americana EPA o la Commissione Europea che hanno potere regolatorio anche su questioni di etichettatura, registrazione e uso di prodotti fitofarmaceutici. Dunque si è giunti al paradosso: una multinazionale che può permettersi di fare una grossa pernacchia dinanzi a concreti rischi sanitari per le persone.

Tuttavia, anche l’influenza economica di una società commerciale, nei fatti, deve scontrarsi con le conseguenze delle sue scelte di mercato e nonostante la Monsanto non si astenga dal promuovere i propri prodotti come “ecologici”, “biodegradabili” e allo stesso tempo miracolosi, capaci di “ottenere risultati che nessun altro può ottenere” – e che risultati! – nel mondo qualcosa continua a succedere. Il fotografo argentino Pablo Ernesto Piovano ha voluto immortalare in un reportage dal titolo “El costo humano de los agrotoxico”, la condizione dei suoi compatrioti che lavorano nei campi di soia OGM dal 1996, anno in cui il governo argentino ha approvato le coltivazioni transgeniche esclusivamente sulla base delle ricerche pubblicate dalla Monsanto. I risultati, esposti al Festival della fotografia etica di Lodi, indossano vesti di denuncia, ma più di tutto registrano qualcosa di drammatico, poco adatto a chi è di stomaco debole: oltre a problemi respiratori, malattie renali e al fegato che hanno colpito indifferentemente giovani e adulti, Piovano ha voluto ritrarre soprattutto malformazioni alla spina dorsale, idrocefalia, cancro, malattie della pelle come la ittiosi, ritardi mentali, tutte conseguenze subite da neonati e bambini (a molti dei quali restano da vivere pochi anni) e manifestatesi anche dopo 6 o 7 anni di vita in quei soggetti le cui madri durante la gravidanza sono entrate a contatto con il glifosato.

Diversi elementi concorrono a confermare l’onta di omertà relativa a questa storia: in primis che il reportage è datato anno 2014, in secundis che il brevetto del Roundup è scaduto più volte nel corso di quasi cinquant’anni, ma la Monsanto ha sempre aderito ad una pratica già largamente diffusa e consentita in ambito farmaceutico ovvero lanciare sul mercato nuovi prodotti con piccole modifiche sufficienti a riottenere il brevetto. Nel silenzio delle istituzioni, il pesticida continua a detenere il record di vendite in Italia e ad essere prodotto da più di  14 aziende in Europa.

In una realtà schiava degli interessi economici e politici, noi poveri mortali continuiamo a vivere quotidianamente con rischi e pericoli per la salute messi in tavola direttamente dai governi sudditi delle influenze commerciali, quegli stessi governi che non hanno remore nell’incorrere in contraddizioni e ipocrisie: un anno fa il glifosato veniva bandito dall’Olanda, dal Brasile ma soprattutto dalla Francia, quella stessa che dal 2002 ha dichiarato fuorilegge l’utilizzo e la divulgazione della ricetta del macerato di ortica, fertilizzante nonché antiparassitario usato da sempre nella protezione delle coltivazioni e nella cura del suolo, che si ottiene in modo del tutto naturale dalla semplice macerazione di grosse quantità di ortica nell’acqua.

Perché vietarlo? Per un cavillo burocratico: il prodotto non è omologato, quindi non è stato sottoposto a sperimentazioni o analisi che ne possano evidenziare gli eventuali effetti tossici per la salute. Eppure si tratta di un sapere tradizionale, usato da sempre e che mai ha messo in pericolo la salute di coltivatori e consumatori. L’omologazione e la sperimentazione appaiono sicuramente imprescindibili per le sostanze di sintesi i cui effetti tossici, nonostante il lungo iter burocratico, possono addirittura palesarsi dopo anni, ma per un prodotto naturale, conosciuto e già “sperimentato” attraverso un utilizzo secolare, rappresenta senza dubbio una spendita inutile di tempo e denaro. Dietro le quinte di questo palcoscenico dell’assurdo, uno Stato che oggi, senza pudore - pur avendo ceduto per anni alle pressioni delle multinazionali dei pesticidi al prezzo della salute dei propri cittadini - minaccia multe salate e anni di detenzione sguinzagliando in giro per il territorio ispettori del servizio antifrode per imbavagliare tutti quei temerari contadini che osano raccontare al proprio vicino l’utilità e l’efficacia del macerato.
A voi le conclusioni.

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