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Discorsi letterecci

Gian Maria Testa

Non basterebbero cascate di inchiostro a raccontare la reiterata opera di sterminio che il mare, ridotto ad arma nelle mani di noi uomini meschini, è costretto a compiere quotidianamente. Abbiamo fatto del Mediterraneo un mostro divoratore di uomini. Per la nostra incapacità di assecondare le maree umane scrutandovi ricchezza; abbiamo rifiutato il dono che la costa opposta ci offriva, accogliendolo come fosse flagello, sciagura.
E se un dio esiste un giorno dovremo rendergli conto di questo. Della nostra disumanità e della nostra indifferenza.
Non basterebbero fiumi di inchiostro a salvare in qualche modo la nostra coscienza, le nostre azioni e soprattutto la dignità di chi lasciando la propria casa, da uomo libero, viene trattato con sprezzo e messo alla porta, come cane rognoso. Nulla basterebbe a questo scopo.
Eppure Gianmaria Testa ci ha provato, per anni, intrecciando musica e parole ha tirando fuori un album, sua arma preferita contro l’ingiustizia e il sopruso. Da quell’album si è poi distaccato, prendendo forma propria, seppur non del tutto indipendente, un libro: “Da questa parte del mare”.
Nel quale sono racchiusi i racconti che hanno ispirato quei brani, che pur silenziosi sono presenti nel libro attraverso i testi delle canzoni.
Raccontare non basta certo, è forse estremo gesto di chi ammette la propria impotenza, eppure è insieme il più alto e profondo atto di speranza, da parte di chi sa di non avere altre armi. Raccontare non basta, ma serve. Serve a salvare, non certo la vita di quegli uomini finiti in mare, abbandonati dal resto del mondo negli abissi del Mediterraneo; ma almeno la loro presenza, la loro esistenza. Raccontare le loro vite conoscendole o anche solo provando ad immaginarle, è quanto possiamo fare per guardare ai fatti con gli occhi di esseri umani e non di rigidi, disumani calcolatori numerici.
Raccontare è provare a guardare la tragedia vissuta negli occhi di chi parte senza giungere a destinazione, ma anche di chi ha toccato terra, senza per questo essere davvero salvo.
Perché questi uomini sono costretti a scappare senza avere destinazione, naviganti senza alcunporto in cui approdare. Come milioni di Ulisse senza un’Itaca da raggiungere. E in questa moderna Odissea, ancor più tragica e devastante, noi, da questa parte del mare, abbiamo scelto di essere divinità persecutrici e impugnato il tridente abbiamo fatto del mare la nostra arma più terribile e fatale.

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